Tumore ovarico: niraparib funziona anche in assenza di mutazioni

Il trattamento di mantenimento con questo PARP inibitore aumenta di oltre due anni la sopravvivenza libera da malattia con una riduzione del 55% del rischio che il tumore si ripresenti, indipendentemente dalla presenza di mutazioni

Negli ultimi anni sono stati fatti importanti passi avanti nella terapia di mantenimento del tumore ovarico avanzato grazie all’introduzione dei PARP inibitori. I risultati maggiori sono stati dimostrati nelle pazienti con mutazioni nei geni BRCA1 e BRCA2 o in presenza di specifiche modificazioni genetiche note come deficit della ricombinazione omologa (HRD). Nel tempo però si è visto che i PARP inibitori offrono benefici anche in assenza di alterazioni genetiche, come conferma lo studio cinese di fase III PRIME, i cui risultati sono stati pubblicati di recente sulla rivista JAMA Oncology. Gli studiosi hanno scoperto che la terapia di mantenimento con il PARP inibitore niraparib, somministrato con una dose iniziale personalizzata, migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione rispetto al placebo in pazienti con nuova diagnosi con cancro ovarico avanzato, indipendentemente dalla presenza di deficit della ricombinazione omologa (che comprendono i tumori con una mutazione BRCA) e dallo stato della malattia residua.

Niraparib efficace anche nei tumori senza mutazioni

Attualmente in Italia niraparib è approvato per “il trattamento di mantenimento in prima linea e in monoterapia per pazienti con carcinoma ovarico epiteliale di alto grado avanzato, alle tube di Falloppio o peritoneale primario, in risposta completa o parziale dopo chemioterapia a base di sali di platino”. Rispetto al trial registrativo (denominato PRIMA), che era stato condotto su pazienti sottoposte a chemioterapia neoadiuvante (che erano quindi inoperabili al primo tentativo) oppure operate in prima istanza ma ancora con malattia residua postoperatoria, lo studio PRIME ha preso in esame anche pazienti con tumore ovarico di stadio III che non avevano malattia residua dopo l’intervento chirurgico primario, le quali rispecchiano maggiormente quello che si osserva nella pratica ordinaria.

Lo studio PRIME ha confermato l’efficacia della terapia di mantenimento in prima linea con niraparib. In particolare ha dimostrato che questo PARP inibitore aumenta di oltre due anni la sopravvivenza libera da malattia con una riduzione del 55% del rischio che il tumore si ripresenti. Non solo, grazie al dosaggio personalizzato, diminuiscono anche gli eventi avversi.

I vantaggi del dosaggio individualizzato

Nel nuovo studio, gli autori hanno somministrato una dose individualizzata di farmaco, in base al peso corporeo e ad altri parametri, con lo scopo di migliorare il profilo di sicurezza. Grazie al dosaggio individualizzato solo il 6,7% delle pazienti trattate con niraparib (il 5,4% nel gruppo placebo) ha sospeso in modo definitivo la cura a causa di eventi avversi e questo rappresenta il numero più basso di tutti i trial di fase III con tutti i PARP inibitori negli studi condotti finora in pazienti con carcinoma ovarico.
La dose individualizzata sin dall’inizio permetterebbe quindi di diminuire il numero di pazienti che devono ridurre la dose, di diminuire il tasso di discontinuazione nonché di protrarre il trattamento più a lungo. Questi dati sono rafforzativi di quello che già si evidenziava nella pratica clinica e migliorano la maneggevolezza del farmaco.

Inoltre, visto che attualmente in Italia è possibile usare niraparib solo nelle pazienti con tumore residuo dopo la chirurgia o che hanno fatto la chemioterapia neoadiuvante, l’auspicio ora è che ci possa essere un’estensione al suo utilizzo.

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