Tumore del seno: la gravidanza dopo la malattia è sicura

Avere un bambino dopo una diagnosi di carcinoma della mammella e il relativo trattamento è sicuro sia per la futura mamma sia per il nascituro. Lo dimostra un’ampia metanalisi che ha coinvolto quasi 115mila pazienti, coordinata da ricercatori italiani

Poche donne ci provano, ma avere una gravidanza, senza rischi per il piccolo e neppure per la futura mamma, è possibile anche se a “ostacolare la strada” ci si è messo un tumore al seno. Lo rivela un’ampia ricerca nella quale sono stati analizzati i dati relativi a ben 39 studi sull’argomento. Nel complesso sono state raccolte informazioni su quasi 115 mila giovani donne con pregresso tumore mammario, delle quali 7500 hanno avuto un figlio una volta terminate le cure. La ricerca è stata coordinata da ricercatori della Breast Unit dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino, Università di Genova, e presentata al congresso “Back From San Antonio”, meeting virtuale dedicato alle principali novità emerse durante il San Antonio Breast Cancer Symposium, tenutosi lo scorso dicembre.

Tumore al seno nelle donne giovani

La percentuale di donne in età fertile che va in contro a un tumore al seno è tutt’altro che trascurabile. Per il 2020 nel nostro paese sono stati stimati circa 55mila nuovi casi, dei quali 6 su 100 in donne sotto i 40 anni. Purtroppo alcuni trattamenti antitumorali, soprattutto la chemioterapia, possono mettere in pericolo la fertilità. Da qui l’idea di avviare uno studio mirato per valutare la frequenza delle gravidanze al termine delle cure oncologiche, la salute dei neonati, le eventuali complicanze durante la gestazione e il parto, e la sicurezza materna in termini di sopravvivenza dopo il cancro. Ebbene i dati raccolti, come segnala Lucia Del Mastro, responsabile della Breast Unit dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova, mostrano che “non c’è un aumento significativo del rischio di malformazioni congenite per il neonato né della maggior parte delle possibili complicazioni legate alla gestazione e al parto. E non è stato riscontrato nessun peggioramento della prognosi oncologica per le pazienti, in termini di ripresa della malattia. Il riscontro di un aumentato rischio di nascite sottopeso (+50%), di un ritardo di crescita intrauterina (+16%), di parto pre-termine (+45%) e con un cesareo (+14%), rispetto alle gravidanze nella popolazione generale, sottolinea però l’importanza di seguire le gestanti con pregressa esposizione ai trattamenti oncologici con più attenzione”.

Reti per la oncofertilità

“La progettualità del ‘dopo il cancro’ è motivo di vita e recupero di energie anche ‘durante il cancro’ – ha fatto notare Salvatore Giuffrida, direttore generale dell’Irccs Ospedale Policlinico San Martino di Genova -. Quasi vent’anni fa al San Martino di Genova, abbiamo istituito l’unità funzionale di oncofertilità, cioè il primo modello di collaborazione fra un centro di oncologia e uno di procreazione medicalmente assistita (Pma) in Italia. Oggi, a Genova, a tutte le donne con meno di 40 anni viene offerta la possibilità di accedere alle tecniche di preservazione della fertilità. Siamo stati gli apripista in Italia”. Purtroppo però nel nostro paese manca ancora una Rete dei centri di oncofertilità, molto importante per assicurare a tutte le donne la possibilità di diventare madri dopo la malattia. Di fatto oggi la percentuale di donne che hanno almeno un figlio dopo la diagnosi di carcinoma mammario è ancora molto bassa: solo il 3% tra le donne sotto i 45 anni e l’8% tra le under 35.

Preservare la fertilità

“Le principali tecniche di preservazione della fertilità nella donna sono costituite dalla crioconservazione, cioè dal congelamento, degli ovociti o del tessuto ovarico e dall’utilizzo di farmaci (analoghi LH-RH) per proteggere e mettere a riposo le ovaie durante la chemioterapia. Possono essere applicate alla stessa paziente e hanno un tasso di successo relativamente elevato, con possibilità di concepire un bambino dopo la guarigione tra il 30 e il 50% a seconda dell’età della donna, dei trattamenti chemioterapici ricevuti e del numero di ovociti crioconservati” spiega Lucia Del Mastro. “Ci auguriamo che gli importanti dati presentati al congresso di San Antonio possano essere uno stimolo ulteriore per istituire la Rete dei centri di oncofertilità e convincere sempre più donne a sottoporsi a queste tecniche”.

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