Nuove prospettive per la prevenzione del tumore al seno nei portatori di mutazioni BRCA

Recenti scoperte aprono la strada all’impiego dell’immunoterapia per prevenire il carcinoma mammario prima che si manifesti in presenza di varianti patogenetiche in geni di suscettibilità

Alcuni ricercatori britannici, autori di uno studio pubblicato sulla rivista Nature Genetics, hanno identificato per la prima volta cellule immunitarie disfunzionali nel tessuto mammario sano di donne con mutazioni germinali nei geni BRCA1 e BRCA2. La scoperta apre la strada all’impiego dei farmaci immunoterapici già esistenti nella prevenzione del cancro al seno prima che si formi. Gli studiosi inglesi hanno già in programma di testare questo tipo di approccio preventivo, partendo dalla valutazione dei suoi effetti in modelli animali (topolini) con mutazioni BRCA. Commentiamo la nuova scoperta con Marco Pierotti, direttore scientifico di Cogentech, Società Benefit afferente all’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano

Marco Pierotti

L’analisi delle cellule mammarie

Utilizzando una metodologia di sequenziamento d’avanguardia i ricercatori inglesi hanno analizzato l’espressione genica a livello di singola cellula nel tessuto mammario normale di 55 donatrici. La metà delle donatrici aveva avuto un intervento di mammoplastica riduttiva (ovvero un intervento chirurgico per ridurre le dimensioni del seno, in genere per ragioni estetiche), mentre l’altra metà era costituita da donne con alterazioni germinali nei geni BRCA, le quali si erano sottoposte a una mastectomia profilattica con l’obiettivo di ridurre il rischio di sviluppare il cancro al seno.

«Gli studiosi hanno fatto un’analisi di più di 800mila cellule di questi soggetti, trovando 41 sottogruppi di cellule che appartenevano al compatimento epiteliale del tessuto mammario, ma anche a quello stromale e del sistema immunitario – spiega Pierotti -. In particolare nel compartimento immunitario sono state trovate delle cellule T. La suggestiva ed eccitante scoperta è stata osservare che queste cellule del sistema immunitario delle donne mutate mostravano segni di esaurimento del loro potenziale immunitario (avevano una firma distinta di espressione genetica indicativa di un esaurimento immunitario) rispetto a quanto osservato nelle partecipanti non mutate, risultando così incapaci di eliminare le cellule mammarie danneggiate»

Le cellule immunitarie disarmate

Si è sempre cercato di capire che cosa succeda nella cellula del tumore mammario in presenza di mutazioni BRCA, ma non era mai stata individuata una differenza a livello delle cellule non epiteliali, come quelle del sistema immunitario che apparirebbero disarmate dalla mutazione BRCA.

«Si ritiene che le cellule T del sistema immunitario siano delle sentinelle attive, pronte per eliminare le prime cellule tumorali, quando tutto funziona bene. Tuttavia in presenza di mutazioni germinali nei geni BRCA, queste cellule appaiono esaurite e quindi incapaci di svolgere il loro ruolo di controllori – osserva Pierotti -. Questo tipo di scoperta individua quindi un altro potenziale bersaglio terapeutico, da adoperare non in un contesto di cura ma addirittura di prevenzione. Le cellule T disarmate sono state infatti riscontrate nel tessuto mammario ottenuto attraverso la mastectomia profilattica, nel quale non c’erano segni di trasformazione neoplastica, le cellule epiteliali erano infatti completamente normali».

Le prospettive

La scoperta dei ricercatori britannici apre la strada allo studio di un’immunoterapia profilattica nelle donne portatrici di mutazioni nei geni BRCA, cosa che gli studiosi hanno in programma di fare inizialmente in modelli animali.

«Le osservazioni fatte dai colleghi britannici spronano ancora di più a uscire dai limiti imposti dalle attuali linee guida che raccomandano di fare il test genetico germinale solo partendo da un soggetto malato per poi studiare i suoi familiari sani. Bisognerebbe invece estendere i testi genetici, sempre seguendo alcuni criteri e tenendo conto del rapporto costi/benefici, a una fascia più ampia della popolazione. Sta diventato sempre più importante riconoscere lo status di portatore in soggetti sani, perché molto probabilmente tra non moltissimo tempo avremo a disposizione anche degli efficaci e seri metodi di prevenzione e non sono le più invasive strategie chirurgiche di riduzione del rischio (mastectomia e ovariectomia)» conclude Pierotti.

Antonella Sparvoli

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