Tumore alla prostata: facilitare la diagnosi precoce

Da Fondazione Onda un documento che, a partire dalle Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea, individua come intervenire per migliorare il riconoscimento della malattia quando è ancora in fase iniziale

Sebbene il cancro della prostata rappresenti quasi il 20% dei tumori maschili, gli uomini ne hanno scarsa consapevolezza, a cui si accompagna una bassa percezione del rischio con ricadute negative sul fronte della prevenzione. A ricordarlo sono gli esperti intervenuti al Tavolo interregionale “Tumore della prostata e Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea. Prevenzione e diagnosi precoce”, organizzato nei mesi scorsi da Fondazione Onda e patrocinato da AIGOM, AIOM, CIPOMO, Europa Uomo, Let’s talk prostate cancer, ROPI, SIMG, SIU, SIUrO. L’evento ha dato origine a un documento che delinea le traiettorie d’intervento per promuovere informazione e diagnosi precoce, portando avanti il confronto già avviato precedentemente da Fondazione Onda, declinandolo in Regioni rappresentative delle tre macroaree geografiche italiane, nella fattispecie Lombardia, Marche e Sicilia.

Piano europeo per la lotta al cancro e screening per la prostata

Tra gli argomenti affrontati nel Piano europeo di lotta contro il cancro, presentato nel 2021, e nella successiva pubblicazione dell’aggiornamento delle Raccomandazioni sugli screening oncologici, c’è quello della diagnosi precoce dei tumori con l’obiettivo di ridurre la mortalità e le diseguaglianze. Tali documenti invitano anche a prendere in considerazione lo screening organizzato per diversi tumori, tra cui quello della prostata. Ad oggi in Italia però non c’è un programma di screening organizzato per questo tumore, complice l’assenza di strumenti adeguati a intercettare precocemente le forme più aggressive e pericolose. Il test del PSA, per esempio, è stato considerato per anni un possibile esame ideale per lo screening. Poi però è stato messo in discussione per diversi motivi, a partire dal fatto che non è un marcatore tumorale, ma solo un indicatore dell’attività della prostata. Il PSA può infatti aumentare non solo in presenza di cancro della prostata, ma anche in condizioni fisiologiche o in caso di patologia benigna (falsi positivi). Talvolta può inoltre risultare entro i limiti di riferimento, pur in presenza di patologia tumorale (falsi negativi). 

Strategie per migliorare la diagnosi precoce

In assenza di un approccio di screening adeguato, possono però essere messe in atto strategie di intervento per favorire la diagnosi precoce attraverso l’individuazione dei soggetti a rischio, sulla base di una serie di fattori quali l’età (l’incidenza cresce in particolare dopo i 50 anni), la familiarità (si stima che il rischio sia almeno raddoppiato nel caso di un familiare di primo grado affetto da questa neoplasia), e la presenza di specifiche mutazioni genetiche. Partendo proprio da queste considerazioni, il documento di Onda, anche attraverso il confronto fra le tre Regioni Lombardia, Marche e Sicilia, ha tracciato alcune traiettorie fondamentali di intervento. Tra i punti chiave individuati ci sono la definizione di percorsi interdisciplinari ospedale-territorio dedicati alla diagnosi precoce del tumore della prostata, la sperimentazione di modelli tecnico-organizzativi che garantiscano appropriatezza diagnostica, la valorizzazione del ruolo del medico di medicina generale nell’accesso alla diagnosi precoce, l’intercettazione dei soggetti ad alto rischio tramite azioni sul territorio e nelle strutture ospedaliere nonché l’importanza della comunicazione.

Individuazione dei soggetti ad alto rischio ereditario

Alcuni individui, in virtù della presenza di mutazioni germinali in geni di suscettibilità al cancro, corrono un rischio maggiore di sviluppare il tumore della prostata. Proprio per questo motivo nel nuovo documento si sottolinea l’importanza di strutturare percorsi di counseling genetico, con accesso uniforme e omogeno ai percorsi di prevenzione secondaria per i familiari individuati come soggetti ad alto rischio.

«Fra i fattori di rischio rilevanti per il carcinoma della prostata hanno grande peso la famigliarità e la presenza di specifiche mutazioni genetiche (come BRCA2 e BRCA1) fra i parenti di primo e secondo grado – fa notare Giario Conti, Segretario Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO) -. Queste mutazioni riguardano trasversalmente anche altre neoplasie, quali pancreas, mammella, ovaio, probabilmente colon e melanoma, interessando dunque non solo la linea eredo-famigliare maschile ma anche quella femminile. La sfida dei prossimi anni, che coinvolgerà medici e istituzioni, sarà volta a identificare percorsi di mini-counseling e di counseling genetico che permettano di identificare precocemente i soggetti a rischio».

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