Tumore al seno in stadio precoce: via libera a olaparib nelle donne BRCA mutate

L’Agenzia italiana del farmaco ha approvato l’utilizzo del PARP inibitore nelle pazienti con cancro mammario in fase iniziale con mutazioni germinali. Il trattamento adiuvante riduce il rischio di recidiva e morte

Ora anche le donne con tumore al seno in fase iniziale con mutazioni germinali dei geni BRCA1 e BRCA2 potranno contare sul PARP inibitore olaparib. Il farmaco è stato infatti recentemente approvato dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) per il trattamento adiuvante (ovvero successivo all’intervento chirurgico di rimozione del tumore), nei pazienti con cancro mammario in stadio iniziale ad alto rischio, precedentemente trattati con chemioterapia neoadiuvante (cioè prima della chirurgia) o adiuvante. Finora, nel nostro Paese, il farmaco aveva ottenuto la rimborsabilità solo per il trattamento di pazienti con cancro della mammella localmente avanzato o metastatico triplo negativo, con mutazioni germinali di BRCA, precedentemente trattati con chemioterapia. Si allarga quindi la platea di pazienti che potranno beneficiare di tale terapia che, quando somministrata in presenza di un tumore mammario in stadio iniziale, riduce del 42% il rischio di recidiva e del 32% il rischio di morte.

Nuove prospettive di cura

Con l’approvazione della rimborsabilità del PARP inibitore olaparib cambiano radicalmente le prospettive di cura per le pazienti BRCA mutate con tumore in stadio iniziale.

«In presenza di una mutazione BRCA, il tumore della mammella tende a manifestarsi in una popolazione più giovane rispetto all’età media di diagnosi. La maggior parte di questi tumori, quando identificati in fase precoce, guarisce. Non tutti però e una parte presenta un rischio più elevato. Da qui la necessità di nuovi strumenti di cura efficaci – osserva Michelino De Laurentiis, direttore del Dipartimento di Oncologia senologica e toraco-polmonare dell’Istituto nazionale dei tumori IRCCS Fondazione Pascale di Napoli -. Olaparib colpisce specificamente le mutazioni dei geni BRCA1 e 2, per ridurre ulteriormente il rischio di recidiva e aumentare le probabilità di guarigione definitiva. L’approvazione da parte di AIFA introduce una terapia adiuvante aggiuntiva per le pazienti con malattia in stadio precoce, ad alto rischio di recidiva».

Le candidate al trattamento con olaparib sono, in particolare, le pazienti con tumore del seno triplo negativo con mutazione BRCA che non abbiano raggiunto una risposta patologica completa alla chemioterapia neoadiuvante, oppure, se operate direttamente, in presenza di tumori superiori ai due centimetri o con almeno un linfonodo positivo. In pazienti affette da tumori a recettori ormonali positivi, i criteri di rischio sono costituiti da almeno 4 linfonodi ascellari interessati oppure dall’assenza di risposta patologica completa alla terapia neoadiuvante (in gergo tecnico, con un punteggio CPS-EG maggiore o uguale a 3).

L’importanza del test genetico

Poter utilizzare olaparib nel tumore mammario in stadio iniziale può contribuire a ridurre il rischio di ricadute potenzialmente letale, a patto che venga eseguito il test per le mutazioni BRCA al momento della diagnosi di cancro, come sottolinea Laura Cortesi, responsabile della Struttura semplice di Genetica oncologica dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena. «Il test genetico è fondamentale sia per permettere alle pazienti di accedere a una terapia personalizzata efficace e in grado di garantire una buona qualità di vita, sia per informare i familiari su un’eventuale predisposizione genetica allo sviluppo della malattia. L’esame può essere prescritto dall’oncologo, dal chirurgo o dal genetista, che diventano responsabili anche di informare adeguatamente la paziente sugli aspetti genetici collegati ai risultati».

Percorsi per il paziente e i familiari a rischio

«Conoscere lo stato mutazionale dei geni BRCA è molto importante sia per il paziente stesso, poiché permette, oltre alla cura, di definire il rischio di sviluppare altre neoplasie e di programmare una gestione clinica personalizzata, sia per iniziare il percorso familiare che permette l’identificazione di persone sane con mutazione BRCA, nelle quali impostare programmi per ridurre il rischio di sviluppare la neoplasia» puntualizza Emanuela Lucci Cordisco, medico genetista alla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma e ricercatore universitario dell’Università Cattolica del Sacro.

Il percorso di consulenza oncogenetica nei familiari permette di identificare i portatori sani ad alto rischio e coloro che non hanno ereditato la mutazione. Se il test è positivo si possono mettere in atto efficaci strategie di riduzione del rischio, che spaziano dalla sorveglianza intensiva alla chirurgia profilattica sul seno e sull’ovaio. La presenza di mutazioni nei geni BRCA è, infatti, associata a un maggior rischio di diverse neoplasie con più organi bersaglio, a partire da mammella e ovaio fino ad arrivare a pancreas e prostata nel maschio.

Le ricadute sul trattamento chirurgico

L’esito del test genetico influenza anche l’approccio chirurgico. Se non c’è una mutazione germinale, si può pensare di fare una chirurgia conservativa, ma se la donna è portatrice di mutazioni BRCA va considerata la possibilità di fare sia la mastectomia della mammella malata sia la mastectomia preventiva controlaterale. È importantissimo programmare tutte queste azioni in anticipo e questo è uno dei motivi per cui è fondamentale che le pazienti siano seguite in centri specializzati, dove siano presenti le Breast unit. «Il chirurgo deve valutare insieme alla paziente l’opzione della mastectomia bilaterale in modo personalizzato, così da offrire un trattamento condiviso – spiega Corrado Tinterri, responsabile dell’Unità operativa di senologia e direttore della Breast unit all’Humanitas University, IRCCS Istituto clinico Humanitas di Rozzano, Milano -. La presa in carico della paziente da parte della unità di senologia permette un approccio multidisciplinare e una valutazione collegiale, che, come dimostrato da diversi studi, è in grado di ridurre la mortalità del 20%. Inoltre, il chirurgo che opera all’interno della Breast unit è completamente dedicato a questa patologia e ha un’elevata competenza in tecniche che rientrano nella chirurgia oncoplastica».

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