Sicura la gravidanza dopo il tumore al seno nelle donne BRCA mutate

Avere un figlio dopo il cancro non incide sul rischio di ricomparsa della malattia nelle donne con sindromi tumorali ereditarie e non comporta pericoli per il bambino

Diventare mamma è possibile e sicuro, anche dopo aver avuto un tumore al seno collegato alla presenza di mutazioni nei geni BRCA. La notizia rassicurante viene da uno studio internazionale, presentato al recente San Antonio Breast Cancer Symposium e pubblicato in contemporanea sulla rivista JAMA. Dalla ricerca, coordinata dall’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, è emerso che intraprendere una gravidanza al termine delle cure non incide sul rischio di ricomparsa del cancro mammario e non causa complicanze o malformazioni fetali, nonostante la pregressa esposizione materna alle terapie oncologiche. Approfondiamo l’argomento con Matteo Lambertini, primo autore dello studio, professore associato e oncologo medico presso la Clinica di Oncologia Medica dell’Università di Genova, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino.

Matteo Lambertini

Lo studio sulle donne con mutazioni BRCA

Nel nuovo studio internazionale retrospettivo sono stati raccolti i dati relativi a quasi 5000 donne, provenienti da 78 centri in tutto il mondo, che avevano ricevuto, prima dei 40 anni, una diagnosi di carcinoma mammario ereditario, associato alla presenza di mutazioni germinali nei geni BRCA. Nella maggior parte dei casi si trattava di tumori con recettori ormonali negativi che hanno un rischio di recidiva maggiore nei primi due o tre anni dalla diagnosi.

Dopo il completamento delle cure, il 22% delle donne ha avuto una gravidanza, con un tempo medio dalla diagnosi al concepimento di 3 anni e mezzo e un follow-up medio dopo la nascita del bambino di circa 5 anni. Delle 517 donne che hanno portato a termine la gravidanza, pari al 79,7% del totale, il 91% ha avuto un parto a termine e il 10% ha avuto gemelli.

«Al termine delle cure ed entro 10 anni dalla diagnosi, una paziente su cinque ha intrapreso una gravidanza che è risultata sicura, non aumentando le probabilità di recidiva del tumore né il rischio di complicazioni durante la gestazione sia per la donna sia per il feto – riferisce Matteo Lambertini –. Le donne che hanno concepito avevano 30 anni al momento della diagnosi del tumore al seno e la giovane età ha aumentato le chance di gravidanza spontanea: 8 gravidanze su 10 sono infatti avvenute spontaneamente, cioè senza ricorrere a tecniche di Procreazione medicalmente assistita (PMA)».

Gravidanza e tumore al seno

«I dati che abbiamo raccolto dimostrano che, dopo un trattamento appropriato e un periodo di osservazione sufficiente, la gravidanza non dovrebbe essere più sconsigliata, come ancora accade, a donne giovani con mutazioni BRCA che hanno avuto un tumore al seno, perché è possibile e sicura – osserva Lambertini -. Poter coltivare la speranza di costruire una famiglia in futuro, dopo il tumore, è di grande aiuto per le pazienti perché consente loro di accettare meglio la malattia e le terapie: la consapevolezza di un domani possibile ha un ruolo significativo nel processo di guarigione» osserva Lambertini.

L’essere portatrice di mutazioni BRCA è associato a un maggior rischio non solo di tumore al seno, ma anche di quello dell’ovaio e, in misura minore, di altre neoplasie. «Tutte le pazienti coinvolte nello studio sono candidate anche ad annessiectomia profilattica (rimozione di tube e ovaie) per ridurre il rischio di cancro ovarico, intervento che va preso in considerazione quando queste donne sono ancora in età fertile, intorno ai 40 anni. La possibilità di avere una gravidanza al termine delle cure per il seno, consente loro di soddisfare il desiderio di maternità e valutare poi con maggiore serenità l’opzione della chirurgia ovarica profilattica» aggiunge l’esperto.

I progetti futuri

Lo studio internazionale pubblicato su JAMA, il più ampio mai condotto nelle giovani donne con carcinoma mammario ereditario, ha ricevuto un importante finanziamento dall’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) per supportare la ricerca sull’oncofertilità, che ora verrà impiegato anche per ulteriori analisi e altri progetti, come segnala Lambertini. «Ora vorremmo analizzare più nel dettaglio i dati raccolti, focalizzando l’attenzione su alcuni aspetti, per esempio, quali sono le tecniche di PMA utilizzate dalle pazienti che vi hanno ricorso per stabilirne la sicurezza dal punto di vista oncologico oppure valutare l’effetto dell’allattamento, visto che alcune delle neomamme hanno allattato al seno e che sono pochi ad oggi le evidenze sul tema. Inoltre stiamo conducendo uno studio in laboratorio per stabilire il rischio di tossicità gonadica, ovvero sull’appartato riproduttivo femminile, delle nuove terapie oncologiche e quindi non solo della tradizionale chemioterapia, ma anche di altri farmaci di recente introduzione come i PARP inibitori. Quest’ultimi oggi sono usati anche nel trattamento adiuvante nelle pazienti BRCA mutate con tumore mammario in stadio precoce, ma a più alto rischio di recidiva» conclude Lambertini.

Antonella Sparvoli

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