Screening per le principali sindromi tumorali ereditarie a 30 anni?

Lo ipotizza uno studio americano, secondo cui tale approccio potrebbe essere costo-efficace. Commentiamo i nuovi dati con Maurizio Genuardi, direttore della Genetica medica del Policlinico Gemelli di Roma

Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Annals of Internal Medicine lo screening genomico di popolazione con un pannello ristretto di geni di suscettibilità associati a due sindromi ereditarie di predisposizione al cancro, quali la sindrome dei tumori ereditari di mammella e ovaio (HBOC) e la sindrome di Lynch,  e all’ipercolesterolemia familiare potrebbe rivelarsi conveniente negli adulti statunitensi con meno di 40 anni, se il costo del test fosse relativamente basso e i soggetti identificati potessero avere accesso a interventi preventivi. Commentiamo questo interessante studio con Maurizio Genuardi, direttore della Genetica Medica della Fondazione Policlinico universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma.

Maurizio Genuardi
Maurizio Genuardi

I nuovi dati

Utilizzando un modello statistico probabilistico, gli autori hanno valutato il rapporto costo-efficacia dello screening genomico in una popolazione non selezionata di 100mila individui di 30 anni di età.

«In estrema sintesi lo studio dice che lo screening a tappeto sulla popolazione per individuare le persone a rischio elevato di sviluppare i tumori del colon, della mammella, dell’ovaio e via dicendo, associati ai geni testati e implicati nelle due sindromi ereditarie di predisposizione al cancro, potrebbe essere costo-efficace in rapporto a quello che succederebbe se non si applicasse uno screening – spiega Genuardi -. Tuttavia gli stessi autori ammettono la necessita di molti altri passaggi e considerazioni prima di implementare una strategia di questo genere».

I possibili vantaggi

Lo screening genomico a tappeto avrebbe come conseguenza una riduzione del numero di malati, un’aumentata possibilità di diagnosticare precocemente eventuali tumori e così ridurre i costi legati al trattamento di persone in cui la neoplasia è diagnosticata in stadi più avanzati.

Il modello analizza nello specifico che cosa succederebbe sottoponendo ai test genetici 100mila persone di 30 anni della popolazione generale, anche se, a detta degli studiosi, la strategia potrebbe essere efficace anche a 40 e 50 anni. Andrebbe comunque tenuto presente che prima si comincia lo screening, maggiore può essere la sua efficacia dal punto di vista del costo perché si riduce di più il carico di malattia.

«Queste analisi sono interessanti, ma non si può ridurre la salute, e in particolare la salute genetica, a un mero fatto economico – osserva Genuardi -. Lo studio parte da una serie di assunti la cui validità è da dimostrare e gli stessi autori lo fanno notare, indicando i limiti dello studio. I ricercatori assumono per esempio che il test genetico potrebbe avere un costo di 250 dollari, il che allo stato attuale è poco verosimile. Nel tempo i costi degli esami genetici probabilmente scenderanno, ma oggi sono decisamente superiori. Inoltre non è detto che il modello applicato alla popolazione statunitense possa poi essere attuabile a uno stato europeo».

La necessità di una corretta informazione

Uno screening genetico di popolazione non può prescindere da una corretta e precisa informazione ai partecipanti sulle possibili implicazioni. Questo aspetto, che ha anche dei costi, non viene affrontato a sufficienza nel nuovo studio. «Un individuo, anche se correttamente informato, potrebbe decidere di non aderire allo screening o di voler aspettare, soprattutto in assenza di una storia familiare di neoplasie – fa notare Genuardi -. Inoltre se si fa uno screening a tappeto, poi bisogna essere in grado di inserire i soggetti risultati positivi in percorsi di prevenzione e sorveglianza, fronte su cui ci sono ancora diverse lacune, almeno nel nostro Paese».

Differenze nell’entità del rischio di malattia

Estendendo il test genetico a popolazioni sempre più ampie, senza tenere in considerazione gli attuali criteri per il reclutamento per la consulenza genetica legati alla storia familiare, all’età di insorgenza e alle caratteristiche cliniche del tumore, si aumenta il numero di casi che vengono individuati. «Tuttavia oggi non conosciamo ancora il motivo per cui c’è una differenza tra le diverse famiglie e i diversi casi nell’entità della storia familiare e nella gravità delle manifestazioni – precisa Genuardi -. È il caso? È possibile che ci siano fattori genetici o ambientali sottostanti protettivi o di rischio ulteriore? Non lo sappiamo, ci sono tanti studi in corso. Di fatto però allo stato attuale non siamo in grado di definire quali siano i fattori che influenzano la differenza nell’entità del rischio tra le diverse persone che sono portatrici di varianti in geni di predisposizione al cancro. Bisognerebbe avviare dei programmi di ricerca che vadano a individuare a tappeto tutti i casi di sindromi di predisposizione genetica ai tumori ma con l’obiettivo di capire quali sono i fattori che influenzano le variazioni del rischio e quindi in grado di migliorare in futuro la definizione delle possibilità di ammalarsi. Una migliore conoscenza dei fattori coinvolti sarebbe utile per ottimizzare e rendere più efficaci gli interventi preventivi collegati a screening genomici di popolazione» conclude l’esperto.

Antonella Sparvoli

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