Nelle sindromi ereditarie i pazienti sono soprattutto le famiglie, non solo i singoli individui

Nel 1866, per la prima volta nella storia, il chirurgo francese Pierre Paul Broca descrisse la presenza di una decina di tumori al seno in tre generazioni di una famiglia, la sua. Nei decenni successivi diversi ricercatori rilevarono una possibile correlazione tra tumore al seno e familiarità, anche se occorrerà aspettare il 1994 per la scoperta, a cura di Mary-Claire King dell’Università della California, dei due geni responsabili: BRCA1 e BRCA2. Nel 2013 la copertina di Time – dedicata alla scelta di Angelina Jolie, portatrice di una variante patogenetica BRCA1, di sottoporsi a mastectomia e annessiectomia profilattica, per evitare le malattie che avevano già colpito diverse donne della sua famiglia – accese definitivamente l’attenzione dell’opinione pubblica, dei clinici e della ricerca scientifica sulla sindrome HBOC (Cancro ereditario della mammella, dell’ovaio, della prostata e del pancreas).

Nel 1913 il patologo Aldred Scott Warthin documentò una casistica severa di tumori gastrici, intestinali ed endometriali in quattro famiglie in cura presso l’Università del Michigan. Tra queste vi era quella della sua sarta personale, che successivamente morì di un tumore all’utero. Nel 1966 altre due famiglie del Nebraska e del Michigan, con uno spettro simile di neoplasie, furono osservate in più generazioni dal genetista Henry Thompson Lynch. Ma solo tra il 1993 e il 1997 furono identificati i geni responsabili della sindrome di Lynch (Cancro ereditario del colon-retto, dell’endometrio, dell’ovaio, dello stomaco e altre sedi): i geni del “mismatch repair” o della “riparazione del DNA”.

Lynch e HBOC – in cui oggi accanto a quelli BRCA sono stati identificati una dozzina di altri geni del sistema di “ricombinazione omologa”, correlati alle stesse neoplasie – rappresentano le due sindromi ereditarie più diffuse tra la popolazione, con una incidenza, rispettivamente, di 1 caso ogni 279 e di 1 caso ogni 400 persone. Oltre ad esse, attualmente sono note almeno altre 50 sindromi, per un totale di oltre 100 geni coinvolti, per una popolazione potenziale di portatori di poco superiore all’1% della popolazione, nelle etnie caucasiche.

Ma qual è la specificità dei tumori ereditari (circa il 15% del totale delle neoplasie) rispetto ai tumori sporadici, più diffusi nella popolazione normale e dovuti in prevalenza a fattori “epigenetici” come agenti fisici e chimici, alimentazione, attività fisica? E’ proprio il “fattore ereditario/familiare”, cioè la loro correlazione diretta con la presenza di alterazioni nel DNA che si trasmettono all’interno delle famiglie, con modalità autosomica dominante o recessiva. Quindi i tumori ereditari, a differenza di quelli sporadici, sono una “patologia familiare” e non solo “individuale”. La condizione di alto rischio di malattia – da 2 a 50 volte maggiore rispetto alla popolazione normale, a seconda della sindrome e degli organi coinvolti – fa delle sindromi ereditarie una condizione patologica particolarmente gravosa per le persone e le famiglie portatrici. Ma il lato positivo della medaglia è che tali soggetti, a differenza di quelli affetti da tumori sporadici, possono essere identificati tramite un test genetico, specie nelle famiglie in cui sia già stato trovato un primo portatore (caso indice) o in cui esista una casistica suggestiva. Ciò implica una serie di vantaggi e in particolare la possibilità di mettere in atto strategie specifiche di cura e di prevenzione.

Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità e per la Commissione Europea (Piano Europeo di Lotta contro il Cancro) almeno il 40% dei tumori è prevenibile, quindi anche quelli sporadici. Per tale motivo è in atto un grande sforzo per mettere la prevenzione al centro della innovazione nei sistemi sanitari nazionali. Le motivazioni sono di tipo clinico (prevenire è meglio che curare), etico-sociale (evitare la malattia a molte persone, specie nel pieno della loro vita personale e professionale) ed economico (prevenire costa meno che curare, specie in oncologia). Se questo teorema è valido per la popolazione generale, a maggior ragione lo è nei soggetti in cui esistano alterazioni genetiche trasmissibili. Infatti, i portatori di sindromi ereditarie potrebbero beneficiare notevolmente di un approccio articolato per fronteggiare la loro condizione, per una serie di motivazioni:

  • Le alterazioni genetiche di recente sono diventate anche un target terapeutico di grande rilievo. I difetti nel sistema della ricombinazione omologa (HRD), quelli del mismatch repair (MMR) e di altri geni meno noti, consentono l’utilizzo di farmaci estremamente efficaci (PARP inibitori e immunoterapici), che vanno a colpire esclusivamente le cellule tumorali e/o “sbloccano” il sistema immunitario per renderlo nuovamente efficace nel contrasto alla malattia. Di conseguenza, la identificazione estensiva dei soggetti malati portatori di tali alterazioni consentirebbe di adottare strategie terapeutiche estremamente efficaci, personalizzate sulle loro specifiche caratteristiche e nel lungo termine meno costose;
  • Per le persone sane a rischio la prevenzione di precisione costituisce una nuova grande opportunità. Nella popolazione normale la probabilità di ammalarsi di tumore è abbastanza bassa e non esistono ancora indicatori per selezionare tra loro i soggetti a maggiore rischio. Al contrario, nei portatori di sindromi ereditarie la correlazione tra genetica e rischio è diretta, per cui la loro identificazione sistematica consentirebbe di poter attivare un insieme di strategie preventive e terapeutiche: prevenzione chirurgica, diagnosi precoce (prevenzione secondaria) per identificare il prima possibile la malattia, terapie personalizzate e tempestive, per renderle ancora più efficaci;
  • Un tale approccio sarebbe facilitato dal fatto che se in Italia le persone con alterazioni genetiche sono circa 500.000-600.000 (oltre un milione e mezzo se si considerassero anche i geni a media penetranza, come CHEK2, ATM e altri) molte di meno sono le famiglie di appartenenza, un numero stimabile tra 50.000 e 150.000;
  • Lavorare sulle famiglie anziché su singoli individui consentirebbe un enorme salto nelle conoscenze (es. rapporti tra fenotipi tumorali e genotipi individuali e familiari, correlazione tra fenomeni genetici ed epigenetici, identificazione di nuovi marcatori e nuovi target terapeutici, ecc.). La genetica si è sempre occupata delle famiglie, mentre la clinica medica si è focalizzata sulla patologia e quindi sui soli soggetti malati; per tale motivo sviluppare una  “visione integrata” tra famiglie, soggetti affetti e sani a rischio porterebbe certamente a  comprendere meglio questo ambito specifico;
  • Ciò darebbe un ulteriore impulso alla medicina di precisione, ampliando il numero di pazienti che potrebbero beneficiare di terapie più personalizzate;
  • La stessa prospettiva dei vaccini antitumorali mRNA sarebbe rafforzata e accelerata dalla identificazione di una ampia popolazione di soggetti con alterazioni genetiche, che sarebbero i primi candidati naturali alla sperimentazione di tali farmaci, sia per la cura delle neoplasie sia e soprattutto per la loro prevenzione.

In sintesi, lo sviluppo di un approccio di sanità pubblica alla identificazione e alla presa in carico dei portatori di sindromi ereditarie consentirebbe di creare una enorme “miniera di conoscenza” per la sperimentazione di percorsi diagnostici, terapeutici e preventivi estremamente efficaci e trasferibili nel tempo ad altri soggetti a rischio (es. obesi, diabetici, ecc.) e alla stessa popolazione normale.  La Fondazione Mutagens si pone dalla sua nascita queste finalità, rappresentando la vasta comunità di persone e famiglie portatrici di sindromi ereditarie. L’esperienza e il vissuto delle nostre famiglie, del tutto simili alle prime identificate dai dott. Broca, King, Warthin e Lynch, ha consentito a molti di noi di curarsi meglio e di mettere in sicurezza sé stessi e i propri familiari attraverso percorsi di prevenzione mirati. Abbiamo creato l’“Ecosistema Mutagens”, composto da tutti gli stakeholder  fondamentali, che si amplia e rafforza continuamente; partecipiamo anche a network europei (GENTURIS, ECPC, ECO) in cui ci confrontiamo con clinici, pazienti, istituzioni degli altri Paesi europei per condividere le conoscenze cliniche e scientifiche e per ridurre i divari nella presa in carico delle persone. Adesso, dopo poco più di tre anni dalla nostra fondazione, stiamo dialogando direttamene con le istituzioni sanitarie nazionali e regionali che determinano le politiche sanitarie nel nostro Paese. E grazie alla loro disponibilità e alla messa in campo dell’ampio network di competenze e risorse esistenti auspichiamo che siano realizzate al più presto tutte le enormi opportunità esistenti per il miglioramento della salute e della qualità della vita nelle nostre famiglie.

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