Tumore dell’endometrio: l’aggiunta dell’immunoterapia migliora la sopravvivenza

L’impiego dell’immunoterapico dostarlimab in aggiunta alla chemioterapia riduce rischio di progressione e morte sia in presenza di deficit del mismatch repair sia nella popolazione complessiva. Vicino un cambio della pratica clinica

Aggiungere il farmaco immunoterapico anti-PD-1 dostarlimab alla chemioterapia di prima linea migliora in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato o ricorrente. Lo segnala uno studio di fase III, denominato RUBY, appena pubblicato sul New England Journal of Medicine, i cui risultati sono stati presentati di recente in occasione del Congresso annuale della Society of Gynecologic Oncology. Il beneficio di dostarlimab è risultato maggiore nel sottogruppo di pazienti con un deficit del meccanismo di riparazione dei mismatch del DNA o un’elevata instabilità dei microsatelliti, ma sono stati evidenziati benefici significativi anche nella popolazione complessiva delle pazienti arruolate. Commentiamo i nuovi dati, che potrebbero dare il là a un cambiamento della pratica clinica, con Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile della Programmazione ricerca clinica presso la Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS di Roma.

Domenica Lorusso

Lo studio RUBY

Lo studio RUBY è un trial multicentrico internazionale in collaborazione tra Europa e USA, nel quale quasi 500 pazienti con tumore dell’endometrio avanzato/ricorrente sono state suddivise in due gruppi: metà sono trattate con una combinazione di dostarlimab più chemioterapia standard (carboplatino-paclitaxel) seguita dal trattamento con il solo dostarlimab per un massimo di 3 anni e l’altra metà con sola chemioterapia con carboplatino-paclitaxel più un placebo, seguita dal placebo.

«Dall’analisi dei dati a due anni è emersa una riduzione di oltre il 70 per cento del rischio di progressione della malattia nel sottogruppo di pazienti con instabilità dei microsatelliti e del 24% nelle pazienti che non presentano questa caratteristica – segnala Lorusso -. Sebbene le pazienti con deficit del mismatch repair/instabilità dei microsatelliti ottengano benefici maggiori, grazie alla particolare biologia del tumore che predispone alla risposta all’immunoterapia, è chiaramente emerso che tutte le pazienti possono trarre vantaggio dall’aggiunta del farmaco dostarlimab in prima linea e poi come mantenimento».

Per quanto riguarda la sopravvivenza globale a 24 mesi, questa è risultata del 71,3% nel braccio trattato con dostarlimab contro 56% nel braccio placebo nella popolazione complessiva, mentre nella popolazione con deficit del mismatch repair/instabilità dei microsatelliti è risultata rispettivamente dell’83,3% contro 58,7% e nella popolazione con sistema di riparazione del mismtach repair funzionante e stabilità dei microsatelliti del 67,7% contro 55,1%.

Lo standard di cura e le nuove possibilità terapeutiche

Attualmente il trattamento con carboplatino-paclitaxel è lo standard di cura di prima linea del carcinoma endometriale in stadio avanzato, tuttavia la sopravvivenza mediana risulta inferiore a 3 anni. I dati dello studio RUBY, sebbene ancora immaturi, mostrano una tendenza verso un miglioramento della sopravvivenza globale, suggerendo che la combinazione di dostarlimab più carboplatino-paclitaxel potrebbe diventare il nuovo standard di prima linea per le pazienti con carcinoma endometriale avanzato.

«L’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia standard in prima linea può cambiare la pratica clinica in un setting di malattia finora sostanzialmente orfano di nuove terapie efficaci – osserva Lorusso -. Una volta ottenuta l’approvazione dell’Agenzia europea per i farmaci (EMA), che potrebbe richiedere sei-otto mesi visto che dostarlimab è già approvato in seconda linea, bisognerà attendere circa un altro anno per il via libera anche dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA). Ci auguriamo però che le nostre pazienti possano avere subito a disposizione questo trattamento, grazie alle varie modalità di accesso anticipato attualmente disponibili come per esempio i programmi di uso compassionevole che l’azienda (GSK) potrebbe proporre».

Tumore dell’endometrio e sviluppi futuri

Il cancro dell’endometrio è la neoplasia ginecologica più comune nei paesi sviluppati. In Italia si ammalano circa 10.000 pazienti ogni anno. Purtroppo per anni questo tumore è stato sottovalutato e di conseguenza oggi è l’unica patologia con prognosi in peggioramento e incidenza in aumento.

I fattori di rischio sono diversi e includono, oltre all’età e all’obesità, la presenza di alterazioni genetiche ereditarie, prime tra tutte quelle nei geni della sindrome di Lynch. Quest’ultima è causata da varianti patogeniche della linea germinale nei geni di mismatch repair (MSH2, MSH6, MLH1, PMS2) e viene rinvenuta in circa il 3% di tutti i cancri dell’endometrio. Tuttavia, recenti studi indicano che il tumore dell’endometrio può essere associato a varianti patogeniche germinali anche di altri geni, tra cui PTEN, BRCA1 e talvolta BRCA2.

Accanto alle prospettive offerte dall’uso dell’immunoterapia, ci sono altri studi in corso che potrebbero aprire la strada a nuove strategie terapeutiche come segnala Lorusso. «Tra i vari studi in corso, ce ne sono due che stanno valutando l’uso combinato di immunoterapia e PARP inibitori. In altri tipi di tumore, a partire da quelli di seno e ovaio, quest’ultimi farmaci hanno dato una svolta al trattamento delle pazienti con mutazioni nei geni di suscettibilità al cancro BRCA1 e BRCA2. I nuovi studi in corso sull’endometrio sono su pazienti non selezionate, l’auspicio è comunque che la combinazione immunoterapia e PARP inibitori possa rivelare le sue potenzialità nel trattamento del carcinoma endometriale ricorrente».

Antonella Sparvoli

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