Tumore alla prostata: medicina di precisione per le forme ereditarie

L’individuazione di alterazioni patogenetiche germinali che predispongono allo sviluppo del cancro prostatico è molto importante per orientare le terapie ed estendere lo screening genetico anche ai familiari

Almeno il 5-10% dei tumori della prostata è associato a una specifica suscettibilità genetica. La presenza di alterazioni patogenetiche germinali, che sono quindi ereditate dai genitori e possono essere trasmesse alla progenie, aumenta infatti il rischio di sviluppare questo tumore. Diventa dunque importante individuare i soggetti portatori di tali mutazioni germinali, tanto più se si considera che in alcuni casi oggi è possibile mettere in atto terapie mirate in caso di sviluppo di cancro alla prostata. Non solo, è possibile promuovere anche uno screening a cascata sui familiari a rischio e quindi una sorveglianza specifica, come fa notare Stefano Luzzago, urologo della Divisione di chirurgia urologica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO).

Stefano Luzzago

I geni chiamati in causa

Sono diversi i geni che, se mutati nella linea germinale, possono predisporre allo sviluppo del tumore alla prostata e talvolta anche di altre neoplasia. «I più noti e diffusi sono i geni BRCA1 e soprattutto BRCA2, ma possono essere chiamati in causa anche altri geni che, come BRCA1 e 2, sono coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA, tra cui ATM e i geni del mismatch repair condivisi con la sindrome di Lynch, nonché i geni CHEK2, HOXB13 e altri. Tutti questi geni, ad eccezione di HOXB13, sono associati a un maggior rischio di sviluppare diversi tumori (seno, ovaio, pancreas, colon, endometrio a seconda dei casi), tra cui quello prostatico. Solo le mutazioni nel gene HOXB13 sembrerebbero associate solo al cancro della prostata – spiega Luzzago -. I pazienti portatori di alterazioni germinali in questi geni, oltre ad avere più possibilità di ammalarsi, possono sviluppare neoplasie prostatiche in età giovanile, prima dei 50 anni, e tumori più aggressivi».

Le indicazioni ai test genetici

Le attuali Linee guida per il tumore alla prostata raccomandano l’esecuzione della consulenza genetica e quindi dell’eventuale test genetico sulla linea germinale in particolari circostanze come segnala Luzzago. «I pazienti che hanno già sviluppato un tumore della prostata particolarmente aggressivo e hanno un altro membro della famiglia che ha avuto questa neoplasia prima dei 60 anni sono dei candidati alla consulenza genetica così come gli individui sani che hanno in famiglia almeno tre persone a cui è stata fatta una diagnosi di tumore alla prostata sotto i 60 anni. Ma l’indicazione può arrivare anche dal “ramo” femminile della famiglia per la presenza di più casi di altri tumori, per esempio a seno e ovaio. Ai figli e ai fratelli di donne con una sospetta o già accertata variante patogenetica germinale, per esempio nei geni BRCA, dovrebbe essere offerto il test genetico».

Le implicazioni

L’indicazione al test genetico e al tipo di pannello da usare deve arrivare dal genetista, figura molto importante perché, con la consulenza genetica, raccoglie in modo molto dettagliato la storia familiare di tumori, l’età di insorgenza e gli esisti della malattia.

«Trovare un’alterazione germinale ha delle forti ripercussioni sia per il paziente stesso per le importanti implicazioni sul fronte della prognosi (in genere chi ha mutazioni ha forme più aggressive e una prognosi peggiore) sia per la famiglia per i test a cascata sui familiari e le strategie di prevenzione e sorveglianza che si possono mettere in atto per i sani a rischio – ricorda Luzzago -.

Le linee guida raccomandano di eseguire una prima visita urologica e l’esecuzione del test del PSA a partire dai 50 anni se non c’è una familiarità rilevante per il tumore alla prostata. Però se un soggetto ha più familiari che hanno sviluppato questo tumore occorre anticipare il primo controllo a 45 anni e a 40 anni in presenza di una mutazione BRCA, in particolare se nel gene BRCA2. Avere una mutazione di BRCA2 anticipa dunque di 10 anni l’età a cui andare dall’urologo e questo potrebbe valere anche per mutazioni in altri geni quando avremo maggiori evidenze».

Terapia personalizzata

La sorveglianza degli uomini a rischio di tumore alla prostata ha la potenzialità di cambiare la storia naturale della malattia, permettendo eventualmente di offrire trattamenti mininvasivi. «Non solo – puntualizza Luzzago -, oggi abbiamo a disposizione dei farmaci che hanno come bersaglio i geni di riparazione del DNA, i cosiddetti PARP inibitori. Per ora questi farmaci sono indicati solo negli uomini con mutazioni nei geni BRCA con tumore alla prostata metastatico (in circa il 12% di tutti i casi metastatici esistono mutazioni nei geni di riparazione del DNA) che non rispondono più ai trattamenti ormonali standard. Tuttavia in futuro potrebbero diventare il trattamento di scelta anche in prima linea, come suggeriscono nuovi dati su altri tumori (seno) associati a mutazioni nei geni BRCA».

La terapia con PARP inibitori è indicata anche nel caso in cui il tumore alla prostata non sia di tipo ereditario, ma abbia comunque sviluppato mutazioni somatiche nei geni BRCA. Tant’è che oggi andrebbe valutata l’indicazione a eseguire il test BRCA a tutti i pazienti con un carcinoma prostatico metastatico per valutare la possibilità di usare questi farmaci.

Antonella Sparvoli

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