Test universali per la sindrome di Lynch

Il 3 e il 4 dicembre si è tenuto il XVII Congresso dell’Associazione italiana per lo studio della familiarità ed ereditarietà dei tumori gastrointestinali. Durante questa prima edizione digitale, Mutagens ha partecipato a una tavola rotonda sull’importanza di questa strategia di screening

Uno degli argomenti cardine del recente Congresso dell’Associazione italiana per lo studio della familiarità ed ereditarietà dei tumori gastrointestinali (AIFEG) è stato quello dei test universali per identificare la sindrome di Lynch. Questa condizione è responsabile di circa il 2-4 per cento dei casi di tumori del colon-retto, oltre a essere coinvolta nello sviluppo del 2-3 per cento dei casi dei tumori dell’endometrio e in altre neoplasie (stomaco, mammella, ovaio, pancreas, prostata, ecc.). Intercettare i portatori di questa sindrome con test universali potrebbe quindi avere enormi ricadute sia sul piano di terapie sempre più mirate (farmaci a bersaglio molecolare, immunoterapia, ecc.) sia su quello della prevenzione (screening, diagnosi precoce, profilassi chirurgica). Lo hanno sottolineato i numerosi esperti durante i vari interventi che si sono succeduti nei due giorni di meeting digitali e in occasione della Tavola rotonda intersocietaria “Il test universale per la Sindrome di Lynch: condivisione degli aspetti operativi in Italia”, a cui hanno partecipato rappresentati di diverse società scientifiche e associazioni. Roberta Devoti e Olivo Marchetti hanno partecipato in rappresentanza di Mutagens come “diretti interessati” in quanto affetti dalla sindrome di Lynch.

Le testimonianze

Roberta Devoti ha dovuto affrontare due interventi per due tumori primari a distanza di due anni l’uno dall’altro e purtroppo anche la chemioterapia dopo entrambi i tumori, prima di essere indirizzata al test genetico e scoprire di avere la sindrome di Lynch, come suo padre e sua nonna paterna prima di lei. “Le nostre disavventure sono iniziate nel 2003: mio papà viene operato per un tumore allo stomaco e, tre anni dopo, per un tumore all’intestino. Io invece, nel 2009, vengo operata ad ovaie e utero e nel 2011 all’intestino – racconta Roberta -. Nella sventura, dopo l’intervento per il tumore al colon, un chirurgo lungimirante ci indirizza verso la consulenza genetica e l’esecuzione dei test genetici. Allora però queste indagini non erano molto diffuse. Non solo, c’era una mentalità diversa: la conoscenza della propria condizione di portatore di una sindrome associata allo sviluppo di tumori era vista con un’accezione negativa: sapere di essere a rischio sarebbe servito solo a farti vivere male. Personalmente penso invece che, dopo lo shock iniziale, si possa trarre solo vantaggio da questa conoscenza. Io, se avessi saputo prima di avere la sindrome di Lynch, avrei probabilmente potuto evitare due tumori, magari con degli interventi profilattici, e tutte le sofferenze associate. Per questo motivo sono una grande sostenitrice dei test universali”. Secondo Roberta i testi universali non sono però altro che un punto di partenza, perché bisognerebbe agire, in parallelo, su altri fronti. “Quando si scopre di avere una sindrome ereditaria associata allo sviluppo di tumori, il passo successivo è agire sul piano della prevenzione e della diagnosi precoce, sottoponendosi a controlli periodici. Il problema è che spesso è il paziente che deve tenere le redini, mentre ci sarebbe bisogno di una presa in carico globale, a maggior ragione in quei casi in cui la sindrome ereditaria metta a rischio diversi organi. Ci vorrebbe un team multidisciplinare a guidare il paziente e poi una grande opera di informazione e sensibilizzazione sia dei medici di famiglia sia degli stessi specialisti. Infine sarebbe auspicabile uniformare i protocolli e offrire le stesse possibilità ai pazienti in tutte le Regioni” conclude Roberta.
Condivide le osservazioni di Roberta anche Olivo Marchetti. Olivo ha alle spalle una serie di interventi, a partire dal 2000, per l’asportazione di polipi intestinali. La sua famiglia è stata segnata in modo pesante dalla sindrome di Lynch. Olivo purtroppo ha perso a causa di un tumore colon-rettale prima suo padre, a 53 anni, e poi suo fratello maggiore, mancato anche lui a soli 52 anni. “E’ proprio da mio fratello che è partito tutto. Abbiamo iniziato a sottoporci ai test genetici, scoprendo così che io stesso sono portatore della sindrome di Lynch, così come mio figlio, mia sorella e alcune nipoti – riferisce Olivo Marchetti -. Grazie ai controlli a cui ci sottoponiamo con regolarità, siamo riusciti a limitare i danni, anche se alcuni di noi sono stati colpiti in modo più pesante. Sebbene io abbia subito diversi interventi, grazie ai controlli costanti, ho quantomeno potuto fare a memo di sottopormi a trattamenti chemioterapici. Sono un grande sostenitore dei test universali perché possono cambiare la storia di malattia di molte persone”.

Il ruolo di Mutagens

L’Associazione Mutagens, sin dalla sua nascita quasi un anno fa, ha sempre avuto tra le sue priorità lo screening dei portatori di sindromi ereditarie su tutto il territorio nazionale. “Si tratta di un obiettivo ambizioso che necessariamente richiede una prospettiva di lungo termine – fa notare Salvo Testa, presidente di Mutagens -. Si stima infatti che in Italia ci siano circa 600.000 persone portatrici di mutazioni genetiche germinali e che siano almeno 60.000 le famiglie interessate”.
Lo screening universale di tutti i tumori colonrettali e all’endometrio di nuova diagnosi può identificare le persone che hanno un’elevata probabilità di presentare la sindrome di Lynch. Questi test universali vengono effettuati sul tessuto tumorale per capire appunto se il cancro possa essere correlato alla sindrome ereditaria. In caso affermativo, il passo successivo è eseguire ulteriori indagini genetiche per attestare la presenza di una mutazione germinale in uno dei geni associati alla sindrome, in modo da confermare la diagnosi.
“L’individuazione di più soggetti possibili, si potrebbe tradurre in un beneficio enorme sia sul piano delle terapie innovative sia su quello della prevenzione – spiega Salvo Testa -. Il primo obiettivo da perseguire, attuabile da subito su scala nazionale, potrebbe essere l’introduzione dei test universali sui tumori più spesso associati a mutazioni germinali, tra cui spiccano i tumori del colon-retto e dell’endometrio associati alla sindrome di Lynch, oltre ai tumori legati a mutazioni nei geni BRCA 1 e BRCA 2 (seno, ovaio, prostata)”. E questo è uno dei motivi per cui Mutagens è scesa subito in campo a fianco di AIFEG e di altre società scientifiche coinvolte, che hanno aderito per sostenere l’introduzione del test universale per la sindrome di Lynch, che ha ampiamente dimostrato la sua validità e fattibilità sul piano costi/benefici.
“In parallelo Mutagens si sta facendo promotrice, con i suoi partner scientifici e clinici e con le Società scientifiche, dell’introduzione del test universale anche per il cancro ereditario della mammella e dell’ovaio (HBOC), cui aggiungere anche il cancro ereditario alla prostata, al pancreas e il melanoma, con l’obiettivo anche in questo caso, di inserirlo in linee-guida nazionali e nei Lea, per evitare di sottrarre questa opportunità ai tempi lunghi e alla discrezionalità delle singole normative regionali” conclude Salvo Testa.

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