Terapie sempre più personalizzate con test genetici universali

L’ampliamento della platea dei pazienti a cui proporre gli esami per le mutazioni germinali associate a tumori eredo-familiari permette di individuare molti più casi e accorciare la strada verso la medicina di precisione.

Proporre test genetici per le mutazioni germinali a tutte le persone che presentano un tumore solido permetterebbe di evidenziare circa il 50 per cento di individui con mutazioni germinali in più rispetto a quando si seguono le linee guida ufficiali che prevedono l’esecuzione di questi test sono in ristrette fasce di popolazione a rischio. A segnalarlo sono alcuni ricercatori della Mayo Clinic, autori di uno studio appena pubblicato su Jama Oncology.

Geni e tumori

Oggi sappiamo che i fattori ereditari giocano un ruolo chiave nello sviluppo di molti tumori e che l’identificazione dei geni di predisposizione ad alcuni tumori può avere importanti implicazioni, non solo sulla proposta del trattamento da privilegiare nel singolo caso, ma anche in termini di strategie preventive, di intervento e di coinvolgimento dei familiari in un percorso di screening genetico.
Finora i test genetici per le mutazioni germinali associate a tumori eredo-familiari sono stati proposti essenzialmente a pazienti con tumori con particolari caratteristiche, tenendo conto di fattori come l’età alla diagnosi, la storia familiare di tumore e alcuni altri elementi. Nello studio appena pubblicato, gli studiosi della Mayo Clinic hanno provato a espandere la platea di pazienti a cui proporre gli esami genetici.

Test universali

Nell’arco di un periodo di due anni i ricercatori americani hanno proposto i test genetici per le mutazioni germinali e le consulenze genetiche a più di 3000 pazienti come parte dell’approccio terapeutico. Nello studio sono stati coinvolti soggetti con vari tipi di tumori in stadi diversi tra cui mammella, colon-retto, ovaio, polmone, pancreas, vescica e prostata. Ebbene i dati raccolti hanno evidenziato che circa un paziente su otto presentava una variante germinale patogenetica, ovvero associata a malattia, e che metà di queste mutazioni non sarebbe stata individuata se fossero stati seguiti i protocolli standard. Questa scoperta ha avuto implicazioni anche sulle terapie proposte ai pazienti: ben il 30 per cento con una variante genica importante si è visto modificare il proprio trattamento come conseguenze dei risultati dei test genetici. “Non avremmo potuto proporre questa terapia target se i pazienti non fossero stati sottoposti ai test genetici – osserva Niloy Jewel Samadder, gastroenterologo ed epatologo alla Mayo Clinic nonché coordinatore dello studio -. Più della metà dei pazienti, che hanno sviluppato un tumore a causa di mutazioni ereditarie, sarebbero stati persi e ciò avrebbe avuto implicazioni negative anche per i familiari (che non avrebbero avuto così la possibilità di intraprendere un percorso di screening, prevenzione e diagnosi precoce)”.

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