Studi clinici: associazioni di pazienti prezioso alleato

Le organizzazioni di pazienti sono sempre più riconosciute come un partner importante nel mondo della ricerca clinica. Il loro ruolo e l’importanza di un dialogo continuo e trasparente con l’industria e i ricercatori

Le organizzazioni di pazienti hanno un ruolo primario nel supportare le comunità che rappresentano e lo fanno in diversi modi, attraverso l’informazione, la condivisione, l’assistenza. Ma ora, sempre più, stanno diventando anche un prezioso tramite tra i pazienti che rappresentano e il mondo della ricerca clinica e, talvolta, un vero e proprio partner coinvolto nella progettazione stessa delle sperimentazioni. Il coinvolgimento delle associazioni di pazienti nella ricerca clinica può avere numerosi risvolti positivi, rendendo per esempio l’arruolamento più rapido e affidabile, nonché aiutando i pazienti ad accedere a trial clinici che possono costituire per molte patologie, e in particolare per i tumori, l’unica possibilità per migliorare la propria condizione. Approfondiamo l’argomento con Laura Cappellari, Patient Affairs Manager di GSK.

Ascolto attivo e condivisione

«Il nostro team di Patient Affairs, che si trova all’interno della direzione medica, lavora a stretto contatto con le associazioni di pazienti e allo stesso tempo dialoga con chi si occupa di ricerca clinica – premette Cappellari -. Una delle principali attività che portiamo avanti è quella di ascolto attivo e diretto dei pazienti attraverso le loro associazioni. Spesso organizziamo tavoli di lavoro in cui ci confrontiamo con pazienti selezionati dall’associazione in base alla patologia e ad altri criteri. In questi incontri ascoltiamo il percepito di malattia e quanto questa impatta sulla qualità di vita. In queste occasioni di ascolto diretto, spesso i pazienti esternano a gran voce la loro esigenza non solo di essere informati sulla patologia e sulla sua gestione/trattamento, ma anche e soprattutto su quali sono gli sviluppi clinici, quello che sta arrivando, che potrà esserci. Questo perché talvolta in certe patologie, tra cui senz’altro i tumori, la partecipazione a uno studio clinico rappresenta un’opportunità terapeutica molto importante».

Arruolamento più veloce ed efficace

Le associazioni di pazienti possono rivelarsi un prezioso alleato del mondo della ricerca in quanto hanno la capacità di favorire il reclutamento dei pazienti nelle sperimentazioni cliniche. Grazie a una conoscenza ampia e approfondita della ubicazione dei pazienti sul territorio e delle loro condizioni, possono veicolare l’esistenza della sperimentazione stessa a chi potrebbe essere interessato a parteciparvi. «Una delle difficoltà nella messa a terra di uno studio clinico è proprio l’identificazione, nei tempi stabiliti dal protocollo di studio, di tutti i pazienti – fa notare Cappellari -. L’associazione di pazienti se viene messa a conoscenza della presenza di uno studio clinico, può veicolare questa informazione ai propri associati. Chiaramente la responsabilità ultima spetta sempre ai centri clinici, che valutano l’idoneità del paziente a partecipare in relazione ai criteri di inclusione stabiliti dal team di ricerca. La nostra premura, come divisione che si occupa delle relazioni con le associazioni, è far sapere alla popolazione che ci sono degli studi clinici in corso che potrebbero essere di interesse».

Le organizzazioni di pazienti possono dunque fare da tramite e avere un ruolo importante anche nell’informare in modo semplice e chiaro in che cosa consista la sperimentazione clinica, su quali siano le fasi di questo processo altamente regolato.

Il ruolo nella progettazione degli studi

La progettazione iniziale di uno studio clinico può avere un forte impatto sul suo risultato finale e dovrebbe essere accettabile per i pazienti. In questo contesto le associazioni, quando coinvolte, possono portare il punto di vista dei pazienti, idealmente già dalle prime fasi di pianificazione, dialogando con i centri di ricerca per assicurarsi che i propri bisogni siano tenuti in considerazione.

«Il regolamento europeo dei trial clinici include la possibilità di collaborare con le organizzazioni di pazienti nella progettazione del protocollo di studio e nella realizzazione dei documenti dello stesso – fa notare Cappellari -. Un semplice esempio è quello che riguarda il consenso informato. Quest’ultimo è lo strumento principe delle sperimentazioni perché attraverso le informazioni in esso contenute il paziente decide se essere parte di uno studio oppure no. Sottoporre il consenso informato alla valutazione delle associazioni di pazienti offre loro la possibilità di proporre suggerimenti che rendano il contenuto più fruibile, più comprensibile dal paziente e anche dai suoi familiari (care givers), facilitando la comprensione dello studio stesso e la scelta del paziente di esserne parte».

Un connubio vincente

«Le associazioni di pazienti possono ricoprire  un ruolo importante anche nell’ambito del disegno dello studio – aggiunge Cappellari -. Innanzitutto nella preparazione e nella creazione congiunta dei documenti che poi verranno sottoposti ai pazienti. In questo contesto il contributo delle associazioni può essere determinante. Esse posso inoltre fornire il punto di vista del paziente sulle procedure dello studio».

Chi progetta lo studio ha principalmente una prospettiva medico-scientifica, talvolta però il punto di vista del paziente è differente, anche in termini di qualità di vita. «Per esempio in uno studio possiamo prevedere 20 visite di controllo al centro, che però possono risultare troppe per il paziente. Per cui si può valutare una soluzione intermedia con 15 controlli in presenza e cinque in telemedicina. Il punto di vista del paziente sull’impatto della sperimentazione sulla qualità di vita può essere un aspetto che dà un valore aggiunto in termini di arruolamento, di scelta da parte del paziente di partecipare (perché i contenuti sono chiari così come le tappe del percorso che dovrà fare), ma anche in quella che si chiama “retention” di studio. Tanto più un paziente è consapevole e lo studio ha un impatto sulla qualità di vita più positivo, tanto maggiore sarà la sua aderenza al protocollo di studio (la retention appunto)» conclude Cappellari.

Antonella Sparvoli

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