Prevenzione di precisione e diagnosi precoce nei soggetti ad alto rischio eredo-familiare

La sfida contro i tumori, come evidenzia il Piano Europeo di Lotta contro il cancro 2021, sta compiendo un enorme salto qualitativo per i soggetti malati, grazie ai notevoli progressi nella diagnostica e nelle cure, in particolare nell’ambito della medicina di precisione e dell’immunoterapia. Parallelamente, occorre intensificare gli sforzi sulla prevenzione a favore dei soggetti sani, visto che almeno il 40% dei tumori sono considerati “prevenibili”. I programmi di screening sulla popolazione generale – ad oggi limitati in Europa e in Italia alla mammella, alla cervice uterina e al colon – hanno dimostrato di essere altamente efficaci ed efficienti, sia nell’aumento della sopravvivenza dei malati sia nella riduzione della mortalità, grazie soprattutto alla diagnosi più precoce.

Il limite degli attuali screening per la popolazione generale è l’approccio volto a fornire a tutte le persone la medesima strategia di prevenzione, nelle metodiche diagnostiche e nelle loro cadenze temporali. Per tale motivo, sia nel Piano Europeo 2021 sia nel Piano Oncologico Nazionale 2022 si auspica una graduale estensione degli screening, in particolare per le “classi di popolazione a rischio aumentato”, su cui attuare “percorsi più personalizzati”. Tale prospettiva consentirebbe di migliorare nel contempo l’efficacia della diagnosi precoce (maggiori risorse dove più necessario, minori dove meno necessario) e l’efficienza degli screening (rapporto costi/benefici).

Uno dei “cluster di popolazione a rischio aumentato” è quello dei portatori di sindromi ereditarie che conta nel nostro Paese circa 500.000 individui – meno dell’1% della popolazione -, pur essendo essi vittime di oltre il 15% dei nuovi casi di tumore annui. Ciò conferma il loro elevato livello di rischio di malattia, in particolare su alcuni organi specifici (mammella, ovaio, endometrio, colon, prostata, pancreas, stomaco), maggiormente correlati a tali sindromi. Ecco perché è arrivato il momento, anche in Italia – una sperimentazione del genere è già in corso da qualche anno negli USA e sta per essere attivata anche nell’Unione Europea -, di avviare per i soggetti ad alto rischio specifici Percorsi di screening (per la Prevenzione di precisione e la Diagnosi precoce), sulla base delle seguenti considerazioni:

  • I portatori di sindromi ereditarie mediamente si ammalano ad un’età più precoce rispetto a quella della popolazione normale (talvolta nei 30 e nei 40 anni) e per tale ragione gli screening generali (a partire dai 45-50 anni per la mammella e 50 anni per il colon-retto) per la maggior parte di loro sono ampiamente inefficaci;
  • Diversi organi ad alto rischio dei portatori di sindromi ereditarie non sono attualmente coperti dai programmi di screening generale: prostata, pancreas, endometrio, stomaco, vescica, vie urinarie, reni, pelle;
  • La maggior parte di tale popolazione (almeno l’80-85%), in massima parte soggetti ancora sani, ad oggi non sono stati ancora identificati a causa delle carenze normative e attuative (PDTA Regionali Alto Rischio, presenti tuttora in una minoranza di regioni), le difficoltà e i tempi lunghi di accesso ai test genetici e alla presa in carico dei portatori;
  • Poiché le sindromi ereditarie si trasmettono all’interno delle famiglie, la loro identificazione è relativamente “semplice”, sia per la rilevabilità di una casistica suggestiva di tumori, sia perché i test genetici mirati, una volta identificato un primo caso indice nella famiglia (in genere su un soggetto già malato), sono molto semplici, economici e rapidi;
  • I recenti progressi nella diagnostica (maggiore validità dei test genetici e genomici, identificazione di nuovi marcatori) e negli algoritmi di valutazione del rischio, oltre alla continua riduzione dei costi dei test più sofisticati (pannelli multigene NGS) rendono oggi maggiormente sostenibile dal punto di vista economico, una “strategia di screening capillare”, cioè volta ad identificare il maggior numero di persone portatrici, anche e soprattutto sane;
  • Sui soggetti sani, come su quelli malati, oltre al beneficio della diagnosi precoce (prevenzione secondaria) è spesso possibile attivare anche delle strategie di prevenzione primaria (chirurgia profilattica di riduzione del rischio e farmaco-prevenzione), la cui validità è ampiamente dimostrata in termini di sopravvivenza, di riduzione di mortalità e di riduzione dei costi a carico del sistema sanitario, nel medio-lungo termine;
  • Un programma di screening di questo tipo sarebbe attuabile con una integrazione tra medicina di territorio (Medici di medicina generale, Case di comunità, dipartimenti di prevenzione regionali e delle aziende di tutela della salute) e strutture ospedaliere primarie, sfruttando al meglio le risorse e le competenze esistenti a livello locale;
  • Una iniziativa del genere consentirebbe di accrescere fortemente il grado di informazione e di consapevolezza di persone e famiglie potenzialmente ad alto rischio, presupposti per un loro coinvolgimento attivo e una loro forte adesione allo screening;
  • La identificazione dei soggetti portatori consentirebbe di realizzare un Registro Nazionale delle sindromi ereditarie, che diventerebbe uno strumento di epidemiologia di grande valore sia per la presa in carico clinica delle persone a rischio sia per lo sviluppo della ricerca (sperimentazione di nuovi protocolli di diagnosi, di cura e di prevenzione);
  • Gli approcci clinici su tale popolazione a rischio, come già è successo in passato (test genetici, marcatori, medicina di precisione), potranno essere nel tempo trasferiti anche su altri “cluster di popolazione” colpiti da tumori sporadici: i soggetti a rischi medi o alti di natura non genetica (grandi fumatori, pazienti diabetici e soggetti a sindrome metabolica, ecc.).

Infine, l’avvio di percorsi di screening mirati sulla popolazione ad alto rischio eredo-familiare avrebbe anche il pregio di contribuire ad un enorme salto culturale (sia nei cittadini sia negli operatori sanitari e nel sistema sanitario nel suo complesso), per avviare e diffondere un approccio di prevenzione (primaria e secondaria insieme), su cui poco è stato fatto finora in ambito oncologico. Non solo, dati gli elevati costi nella cura dei tumori (interventi chirurgici e terapie oncologiche in particolare) sui soggetti malati, una strategia di prevenzione che coinvolga in prevalenza soggetti ancora sani e che si basi in prevalenza su protocolli diagnostici, sarebbe sicuramente sostenibile economicamente con i risparmi che deriverebbero dalla riduzione del numero dei malati e dei costi di cura correlati ad una diagnosi più precoce. Senza contare, ovviamente, il valore etico e sociale di un contenimento di malattie altamente invalidanti su soggetti che spesso si trovano ancora nel pieno della loro vita personale, familiare, sociale e professionale.

La Fondazione Mutagens considera gli screening per la popolazione ad alto rischio genetico e la correlata creazione di un Registro nazionale delle sindromi ereditarie un’assoluta priorità per la messa in sicurezza di tali soggetti, insieme al miglioramento della presa in carico delle persone diagnosticate con tumore, nelle più qualificate strutture ospedaliere del nostro Paese, in tutte le regioni. Per tale motivo stiamo portando avanti, con la collaborazione delle diverse istituzioni sanitarie nazionali e regionali e dei nostri partner scientifici e ospedalieri, una specifica iniziativa per una sua iniziale sperimentazione, limitatamente ad alcune regioni, con l’obiettivo di validarne la metodologia, prima di richiederne l’estensione in tutte le regioni/province autonome del Paese e l’inserimento nei LEA (livelli essenziali di assistenza).

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