Le sindromi ereditarie rare: fare squadra nella ricerca, nella diagnosi e nei percorsi di cura

Le sindromi ereditarie rare – oltre una cinquantina quelle ad oggi conosciute ma in costante crescita – sono meno note delle due più diffuse HBOC-BRCA (cancro alla mammella, ovaio, prostata e pancreas) e LYNCH (cancro al colon-retto, all’endometrio e allo stomaco) ma altrettanto importanti per la salute dei loro portatori. Coinvolgono potenzialmente oltre 100.000 persone in Italia, quindi nel loro insieme non sono cosi “rare” come si potrebbe pensare. La loro diagnosi, a partire dai soggetti malati e con la estensione del test genetico ai familiari sani a rischio, consentirebbe di avviare tante persone a percorsi di prevenzione primaria e secondaria, oltre che di accelerare il miglioramento dei percorsi di cura (terapie standard e farmaci innovativi).

Per quanto riguarda lo screening l’utilizzo dei test genetici è molto in ritardo rispetto alle sindromi più diffuse, per le minori conoscenze esistenti su tali patologie anche nelle strutture ospedaliere primarie. Probabilmente la maggior parte dei pazienti con tali varianti germinali viene oggi gestita come se fosse affetta da tumori sporadici, trascurando del tutto i familiari sani a rischio, qualora fossero essi stessi portatori. Alcune di tali sindromi, come quella di Cowden (gene PTEN), di Li Fraumeni (gene TP53) e del Cancro Gastrico Diffuso Ereditario (gene CDH1), possono causare gravi neoplasie e altre patologie in diversi organi, che si manifestano talvolta anche nell’infanzia e nell’adolescenza. Ecco perché la tempestività della diagnosi sui più giovani può essere vitale per accertare la sussistenza di un rischio genetico anche nei genitori e negli altri familiari. La presenza tra congiunti di tumori ricorrenti dello stesso tipo e in età precoce dovrebbe costituire un indizio per i medici specialisti, per i medici di medicina generale e per le stesse famiglie potenzialmente portatrici. Oggi la diagnosi genetica, grazie ai pannelli NGS multigene, è facilitata rispetto al passato, anche se tale opportunità è ancora confinata a pochi soggetti, per il limitato accesso a tali tecnologie e la modesta rimborsabilità da parte del SSN dei test genetici di ultima generazione. Per quanto riguarda i percorsi di cura non ci si potrà aspettare una diffusione capillare come nelle sindromi più diffuse. Infatti, non tutte le strutture ospedaliere potranno disporre delle complesse e articolate competenze per coprire le molteplici sindromi ereditarie, per cui la soluzione sarà di realizzare un “sistema a rete”, almeno a livello nazionale e regionale, per creare centri di eccellenza su “classi di sindromi”, che possano diventare punti di riferimento nazionali e dialogare con i maggiori centri internazionali.

Anche nello sviluppo delle nuove terapie non ci si potrà aspettare lo stesso dinamismo presente nelle sindromi ereditarie più diffuse (medicina di precisione, immunoterapia). I numeri dei pazienti sono troppo piccoli e frammentati per genotipo e fenotipo, cioè per corredo genetico e manifestazione delle malattie. Inoltre, data la presenza di rischi su più organi, sarebbe auspicabile che la ricerca fosse spinta maggiormente nella direzione di “soluzioni più radicali”: per i soggetti malati la prospettiva più promettente sembra quella dei “vaccini terapeutici”, che potranno mettere in condizione – grazie ad un meccanismo simile a quello dei vaccini anti-covid a mRNA – di creare una risposta immunitaria naturale per ciascun paziente; per i soggetti sani e soprattutto per le future generazioni, la prospettiva più affascinante appare quella dei “vaccini preventivi” e, più in là nel tempo, dell’editing genomico, cioè della possibilità di “correggere” il prima possibile il DNA difettoso, per ripristinare una condizione genetica normale.

In ogni caso queste evoluzioni richiederanno del tempo e quindi occorre, nel breve termine, accelerare nella diagnosi e nella presa in carico dei soggetti malati, almeno per attuare la sorveglianza intensificata su di loro e sui familiari sani a rischio. Per affrontare tali sfide Mutagens ha creato al proprio interno un “Team Rare”, composto da persone portatrici di tali patologie. Il team sta lavorando alla mappatura delle strutture ospedaliere e degli specialisti, per contribuire alla creazione di una “rete nazionale di centri di riferimento” e per indirizzare adeguatamente le persone che richiedono un contatto con specialisti qualificati.

Inoltre stiamo avviando una collaborazione con UNIAMO (Federazione delle Associazioni di Persone con Malattie Rare d’Italia) per creare sinergie con altre Associazioni Pazienti dedicate a soggetti con tali specifiche condizioni di rischio genetico. Per la ricerca medico-scientifica siamo in contatto con il network di Associazioni in Rete della Fondazione Telethon, per la promozione e il sostegno di specifici progetti di sperimentazione, specie nel campo delle terapie geniche e dell’editing genetico. Infine, data la rilevanza della condivisione a livello internazionale dei percorsi di diagnosi e cura e delle strategie di ricerca, Mutagens è attiva all’interno dell’ePAG (gruppo delle Associazioni Pazienti) di ERN Genturis, il Network europeo sui tumori ereditari, al cui interno esiste uno specifico sottogruppo sulle sindromi rare. Insomma, l’unione fa la forza, a maggior ragione se si è “persone rare”.

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