La storia di MarikaMi chiamo Marika e sono portatrice della sindrome di Cowden, una malattia genetica rara dovuta alla mutazione del gene PTEN (1 caso ogni 200.000).All’inizio di questo mio percorso mi rimase particolarmente impressa la frase di un dottore e vorrei cominciare da quella per cercare di descrivermi; la frase è la seguente: ”E’ come se una parte del tuo corpo producesse tumori e l’altra parte fosse in grado di tenerli a bada”. Penso che questa frase rappresenti e sintetizzi gran parte del mio vissuto. Come da “copione Cowden” sono stata operata di tumore alla tiroide, seno ed utero, con relative terapie, quindi chemio, radio metabolica, terapia ormonale. Ho dovuto rinunciare alle mie ovaie che erano sane, ma il tumore all’endometrio è stato scoperto subito dopo la chemio e non hanno potuto fare diversamente. Ah, quasi dimenticavo, mi hanno asportato anche il timo ed altre formazioni benigne.Ci sono sempre stati alcuni tratti distintivi in me: un angioma che copre gran parte della gamba sinistra, la testa che è sempre stata un po’ più grande del normale (anche se nei limiti), oltre che una certa stranezza nei gesti (ma forse quest’ultima è solo una questione caratteriale) ed una grave scoliosi destro-convessa, che molto probabilmente non c’entra nulla, ma anche lei visibile nella sua normale gravità solo ad un occhio esperto.La diagnosi ha rappresentato per me l’inizio di una nuova consapevolezza, ho avuto la fortuna di incontrare persone con la mia stessa mutazione, confrontarmi, ascoltare e nutrirmi del loro coraggio. Nel 2019, grazie all’associazione PTEN ITALIA, ho avuto l’onore di partecipare ad un Symposium a Cleveland (l’unico centro al mondo dove studiano le malattie legate alla mutazione del gene PTEN) e lì ho finalmente capito meglio, acquisendo quella pace di fondo che in realtà mi mancava.Dopo aver avuto la diagnosi fecero il test anche a mia madre e ad altri componenti della mia famiglia. Mia madre ebbe il mio stesso responso e ha subito, più o meno, le mie stesse neoplasie ed operazioni. Con lei ho condiviso le attese infinite aspettando una chiamata per poter effettuare l’ennesimo intervento, gli esami istologici, i dottori che abbiamo avuto la fortuna di incontrare, oltre che la paura e quel senso dell’umorismo che in certe situazioni ti aiuta ad osservare il tutto in maniera differente.Non sopporto le ‘etichette’, non amo sentirmi chiusa, appesantita e limitata da frasi, azioni, che possano ledere la mia capacità decisionale, ma pian piano sto imparando a non farmi condizionare in primis da me stessa e da quel senso di colpa per essere stata così fortunata che mi aveva sempre un po’ accompagnata in passato. Io non sono la mia malattia ma è quest’ultima che mi ha permesso di capire meglio chi sono e come scegliere di vivere e agire. Anche grazie al confronto con altre persone che vivono la mia o simili condizioni ed esperienze.La storia di MarikaCondividi sui socialFacebookLinkedInTwitter
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