La storia di ChiaraChiara si racconta attraverso una lettera alla sua mamma.Dolcissima Mamma, non so perché la vita mi ha mandato un terremoto, fin dall’età dei miei 29 anni. Prima non conoscevo il mondo degli Ospedali e dei Dottori, salvo per un precedente intervento alla tiroide. Però mi sono subito rimboccata le maniche, cominciando il mio percorso con i miei dottori.Per il mio carcinoma al seno destro decidemmo per chemio e radio e non l’ormonoterapia, con la speranza che in seguito potessi avere un bambino. Imparai che l’Oncologo ti propone dei percorsi terapeutici ma che siamo noi a dover decidere il nostro cammino. In me era tanta la voglia di avere un figlio e questa scelta mi dava ancora qualche possibilità. In quella famosa stanza delle terapie nascevano tante amicizie tra noi pazienti, mentre scoprivamo il significato della “chemio gialla” e della “chemio rossa”. Quando la Dott.ssa veniva ad iniettarmi la flebo con la chemio gialla il mio corpo esplodeva. Lei mi aveva detto di prepararmi perché “sei giorni al mese te li farai al letto”. Ma io facevo fatica a chiedere aiuto a te e a papà e ho provato a nascondervi la mia sofferenza. Mi ricordo quanto eravate dolci, quante passeggiate mi facevate fare. Andavamo a Napoli e cercavate di farmi distrarre in tutti i modi, appena vi accorgevate che mi stavo rimettendo un po’. Poi finalmente arriva la notizia della fine della chemio, solo cinque cicli anziché sei, perché il mio corpo non ce la faceva più. Quel giorno facemmo festa. E dopo la chemio ci fu anche la radio.Pensavo che dopo questo mio percorso clinico ci sarebbe stata una pausa di tranquillità. E invece cominciarono i vostri problemi di salute. Dopo la tua malattia ho lottato tanto per non farti demoralizzare, per farti vivere al meglio. Avendo conosciuto la sofferenza non avrei mai potuto lasciarti sola. Ti ricordi quando ti portavo il caffè a Villa Bianchi e le nottate passate insieme al Cardarelli? A 39 anni credevo che con la mastectomia e la ricostruzione avrei recuperato una vita normale, sarei tornata anche a piacermi fisicamente. Invece quell’intervento fu un altro terremoto. La ricostruzione del seno destro riuscì male e ricevetti anche un altro regalo come conseguenza. La anestesia mi aveva mandato sottosopra l’intestino, uscii dall’Ospedale con un vomito che nessuno sapeva spiegare. Tu mi vedevi scomparire nel letto, non mangiavo, avevo sempre la febbre alta e nessuno capiva il perché. Anche babbo cominciò a stare male e dimagriva sempre di più anche lui. Io mi nascondevo nel salone, per non farvi vedere come piangevo dal dolore. Poi il mio Oncologo mi aiutò a reagire, mi fece fare una ecografia e una colonscopia, con cui scoprirono un sarcoma di quattro centimetri, di grado intermedio di malignità, che quasi mi sollevò. Con l’intervento pensavo di morire, ho visto l’inferno, però ho accettato tutto e ho sempre saputo reagire. Non ho mai detto “perché proprio a me?”.Dopo l’intervento all’intestino mi accorsi che potevo riprendere a mangiare, ricominciavo a gustare il cibo e a tornare alla normalità anche nella mia vita. Così ho potuto riprendere il percorso interrotto della ricostruzione al seno destro. Vado a Roma e il chirurgo mi diagnostica la rottura della protesi; nel valutare la riduzione della mammella sinistra si scopre un tumore anche lì. Così subii un nuovo intervento e la radioterapia anche al seno sinistro. Ho dovuto trasferirmi a Roma per seguire tutto il complicato percorso della ricostruzione. Avevo paura ma l’ho affrontato. Ho conosciuto mille dottori, ho fatto il giro di tutti gli Ospedali della Capitale. Per fortuna ho trovato un Oncologo che ancora oggi mi protegge e mi tutela quotidianamente, è diventato il mio angelo custode. Allora facevo la pendolare tra Roma e Napoli, perché il venerdì venivo a trovarti in Ospedale. Poi nel 2018 arriva un altro tumore al seno. Si fa subito la chirurgia e la ricostruzione con la DIEP (lembo di cute propria addominale: ndr). E prima della fine dell’anno mi arriva anche un melanoma. Poi, per non farmi mancare nulla, lo scorso anno, in piena pandemia, mi consigliano di togliere l’utero, per una formazione sospetta e dato il mio alto rischio.Dolcissima Mamma, sai bene che se lottiamo noi questa battaglia possiamo vincerla. E’ importante parlarsi in famiglia, non avere vergogna, fare tutti i controlli, confrontarsi continuamente con i dottori, senza mai demoralizzarsi. Non bisogna mai arrendersi e la malattia non è una vergogna.La mia voglia di vivere e la mia determinazione mi hanno dato la forza per affrontare tutto questo percorso. E poi non posso deludere il Signore, che mi ha donato la vita ed io la mia vita me la voglio tenere stretta. Ho ancora tanti sogni da realizzare, tante cose da scoprire, tante emozioni da vivere, a cui non voglio rinunciare per nulla al mondo.Epilogo. Nel mio giro di ospedali a Roma ho conosciuto un Ginecologo, il quale un giorno mi chiede “ma non hai fatto il test genetico?” “No”, risposi e lui: “Ma a te tocca farlo”. Vinsi un altro viaggio a Roma, al Policlinico Gemelli. Grazie a quel viaggio ho finalmente capito il perché della mia vita. Ho un gene mutato, si chiama PTEN e sono portatrice della sindrome di Cowden. La conoscono in pochi ma forse siamo di più di quello che si pensi. Grazie a Mutagens ho incontrato altre donne con la mia stessa mutazione. Siamo diventate amiche, ci vediamo, chiacchieriamo, scherziamo tra noi, non parliamo solo delle nostre malattie. Con quel test genetico ho scoperto che non sono sfortunata, che è il difetto del mio DNA ad avermi provocato le mie malattie. Grazie a te, caro gene PTEN, ho compreso che i miei cinque cancri non li ho avuti perché sono sfortunata ma perché sono “mutata”. “E sono ancora qua!”, per citare Vasco Rossi!La storia di ChiaraCondividi sui socialFacebookLinkedInTwitter
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