Tumori eredo-familiari: il prezioso supporto della psico-oncologia

Nella presa in carico delle persone con sindromi ereditarie è molto importante tenere in considerazione non solo gli aspetti clinici, ma anche le reazioni emotive conseguenti alla ricezione di un risultato genetico e del relativo rischio di sviluppare un tumore. Ce lo spiega in questa intervista Gabriella Pravettoni, direttore della Divisione di Psico-oncologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e coordinatore del Team Psico-oncologia di Mutagens

Si stima che in Italia siano almeno 600 mila le persone portatrici di mutazioni genetiche germinali associate a un rischio maggiore si sviluppare alcuni tumori. Ad oggi sono state descritte almeno 10-15 sindromi eredo-familiari, le più note e diffuse sono la Sindrome del cancro ereditario della mammella e dell’ovaio (HBOC) e la Sindrome di Lynch. Essere portatore di una mutazione genetica associata a sindromi neoplastiche non vuol dire essere destinati ad ammalarsi di tumore, ma solo correre un rischio maggiore che ciò accada. La consapevolezza del proprio rischio aumentato può aiutare a prendere provvedimenti preventivi e diagnostico-terapeutici, ma può anche essere fonte di ansia e paure per sé e i propri cari. In questo contesto, più che mai, una presa in carico globale, clinica e psicologica, del soggetto, malato o sano a rischio, ha un ruolo fondamentale nel favorire un processo di adattamento, oltre a rappresentare un supporto imprescindibile in momenti decisionali importanti. In questa intervista la professoressa Gabriella Pravettoni ci illustra il ruolo emergente della psico-oncologia nell’accompagnare le persone con sindromi ereditarie e le loro famiglie. Gabriella Pravettoni è direttore della Divisione di Psico-oncologia dell’Istituto Europeo di Oncologia e coordinatore del Team Psico-oncologia del Progetto “Percorsi Alto Rischio Eredo-Familiare”, nato dalla collaborazione di Mutagens con Alleanza Contro il Cancro (ACC) e quattro prestigiosi IRCCS (l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, l’Ospedale San Raffaele di Milano, l’Istituto Clinico Humanitas di Milano e la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli di Roma).

Che cos’è la psico-oncologia e perché oggi gioca un ruolo sempre più importante nell’accompagnare i pazienti con sindromi ereditarie nel loro percorso?

La psico-oncologia è la disciplina che include le tutte le competenze cliniche e di ricerca aventi come oggetto l’impatto psicologico generato dalla diagnosi oncologica e dai relativi trattamenti. La psico-oncologia rivolge la sua attenzione sia ai pazienti oncologici sia alle loro famiglie. Inoltre lavora per migliorare le dinamiche riguardanti la comunicazione con l’equipe curante e la gestione stessa del paziente. Negli ultimi anni, la psico-oncologia ha acquisito e definito una sua identità all’interno dei Servizi ospedalieri. Il Servizio di Psiconcologia ha una trasversalità clinica e organizzativa. Questo significa che la tipologia e le strategie degli interventi si articolano in un continuum dalla prevenzione alla cura e in riferimento ai differenti bisogni delle persone, in un sistema assistenziale che deve essere continuativo, multidimensionale, multidisciplinare e multilivello. L’obiettivo sostanziale è la promozione dell’adattamento alle cure e della qualità di vita del paziente durante le terapie, prevenendo e limitando il rischio di conseguenze psicopatologiche come disturbi depressivi, disturbi ansiosi e post-traumatici da stress. Lo psico-oncologo può agevolare la comunicazione tra medici e paziente fornendo inoltre supporto ai familiari e all’equipe curante quando necessario.

Negli ultimi anni ha acquisito sempre più importanza il ruolo dello psico-oncologo anche nel counselling genetico, con l’obiettivo di accompagnare pazienti con sindromi ereditarie e i loro familiari nei percorsi di trattamento, laddove possibili, o di screening e monitoraggio.
Effettuare un’analisi genetica ha delle ripercussioni psicologiche importanti sia per il paziente che per i suoi familiari diretti, che possono variare a seconda del risultato ottenuto, della propria storia personale e familiare di malattia e a seconda delle caratteristiche individuali e personologiche dei soggetti che vi si sottopongono.

Esistono degli aspetti di vulnerabilità psicologica, come l’elevata percezione di rischio di malattia, la perdita di parenti stretti e lutti non elaborati, disturbi di adattamento legati alla propria storia di malattia, che devono essere adeguatamente valutati poiché potrebbero influire sia sugli aspetti decisionali sia sulle reazioni psicologiche all’aumentato rischio oncologico. Per questo il ruolo dello psico-oncologo è essenziale per seguire tutto il percorso a partire dalla decisione di sottoporsi allo screening genetico

Sapere di essere portatori di una mutazione genetica che predispone ad ammalarsi di tumore può generare ansia e preoccupazioni per il futuro, ma una presa in carico globale può fare la differenza e non solo dal punto di vista clinico. In che modo la psico-oncologia può aiutare i soggetti malati e quelli sani a rischio?

E’ assolutamente vero che il risultato positivo a un test genetico può generare incertezza verso il futuro della propria salute, ma la presa in carico multidisciplinare della persona considerata a rischio da parte di una équipe composta da oncologi, biologi, genetisti, psicologi, e laddove necessario chirurghi, può mitigare l’effetto di tale incertezza, e modulare in modo funzionale le reazioni emotive conseguenti alla ricezione di un risultato genetico e del relativo rischio di sviluppare un tumore. E’ fondamentale che lo psiconcologo affianchi quindi l’equipe durante tutto il percorso di counselling con i pazienti e con i familiari a cui è stato comunicato il rischio e li accompagni nella scelta del percorso di sorveglianza o intervento.

L’intervento psicologico può aiutare i soggetti interessati a comprendere con più esattezza le informazioni che sono state fornite dagli altri professionisti, aiutare a comprendere, rispetto ai propri bisogni e al contesto attuale, quale possa essere la soluzione individuale più adatta a gestire il rischio, modulare l’ansia in modo tale che faccia da motore per l’adozione di comportamenti preventivi, ed infine promuovere una adesione consapevole a trattamenti profilattici, quando disponibili, o programmi di screening e monitoraggio.

Lo psico-oncologo può inoltre aiutare il paziente malato o i soggetti sani a rischio nell’analisi delle dinamiche familiari, al fine di comprendere se e come meglio condividere le informazioni sul rischio genetico con altri membri della propria famiglia. 

Ancora oggi la presenza, le modalità e gli interventi dello psicologo negli ambulatori di consulenza oncogenetica non è uniforme sul territorio italiano, nonostante le linee guida nazionali ed internazionali ne citino la presenza.

Come deve avvenire e come dovrebbe essere portata avanti la presa in carico psicologica dei pazienti con sindromi ereditarie?

Come accennavo prima, la presa in carico multidisciplinare rappresenta l’intervento specialistico più idoneo per la gestione delle fasi pre- e post-test genetico e per il management dei pazienti con sindromi ereditarie. Una presa in carico idonea prevede la presenza dello psicologo nelle diverse fasi della consulenza genetico oncologica e l’integrazione del supporto psicologico specialistico in maniera trasversale rispetto all’intero percorso a lungo termine. Solitamente si parte con una raccolta della storia familiare oncologica da parte del medico specialista di riferimento. Qualora emerga una storia familiare di carcinoma, ma non vi sia un’esplicita richiesta da parte dell’utente/paziente di rivolgersi ad un consulente genetico, è necessario valutare i tempi e i modi più opportuni per suggerire l’avvio del percorso di consulenza. Sin da subito con l’aiuto dello psico-oncologo devono essere raccolte le aspettative e le preoccupazioni dei pazienti, con l’intento di rassicurare e fornire la possibilità di ulteriori fonti di approfondimento personale.

Una volta fatta richiesta da parte del paziente ed avviata la consulenza genetica, lo psico-oncologo contribuisce a valutare le motivazioni e l’effettiva intenzione del paziente a procedere con lo screening genetico, ripercorrendo con il paziente stesso scenari medici e non medici aperti dai possibili risultati del test o dalla mancata esecuzione del test. L’intervento dello psicologo è necessario in questa fase di decision-making, per promuovere un efficace adattamento a lungo termine all’informazione genetica di rischio.

In consulenza post-test e successivamente alla comunicazione del risultato genetico, la presa in carico psicologica del paziente deve assicurare l’integrazione dell’informazione nella qualità di vita e nella realtà psicologica, relazionale e culturale dell’individuo. Nel corso del tempo deve supportare il paziente nella comunicazione dei risultati ai familiari, nell’adesione consapevole ai programmi di prevenzione/riduzione del rischio di cancro, nella risoluzione di problematiche psicologiche che richiedono intervento specialistico.

Il supporto psicologico diventa fondamentale nei casi in cui debba essere avviato un percorso oncogenetico “personalizzato” per il paziente, in tempi utili alle opportunità chirurgico-terapeutiche finalizzate alla cura della malattia o alla gestione del rischio d’insorgenza di una neoplasia, che potrebbero anche non coincidere con i tempi di elaborazione dell’informazione e di scelta da parte della persona.

Va poi sempre considerata la dimensione familiare dei tumori ereditari, la dimensione della “trasmissione transgenerazionale”, il che significa che oltre a coinvolgere il paziente, l’intervento psicologico implica necessariamente il coinvolgimento della famiglia, anche solo ipotizzato. L’intervento psicologico ha come obiettivo anche quello di agevolare strategie comunicative adeguate al passaggio dell’informazione ai diversi membri della famiglia.

Quali modelli e strumenti di presa in carico più orientati verso i soggetti con sindrome ereditarie si stanno sperimentando nelle strutture ospedaliere e in quelle universitarie?

Per quanto concerne i modelli di riferimento, le raccomandazioni del Gruppo di Lavoro AIOM-SIGU-SIBIOC-SIAPEC-IAP (2015-2016) e le Linee guida AIOM/SIPO 2019 “Assistenza Psico-sociale dei Malati Oncologici” sono un punto di partenza fondamentale, anche nella sperimentazione di ulteriori implementazioni dei modelli e degli strumenti adottati nella presa in carico dei pazienti. Queste linee guida pongono l’attenzione sul rispetto dei tempi e dell’autonomia decisionale del paziente nel raggiungimento di una scelta informata e consapevole circa l’esecuzione del test genetico e di eventuali interventi profilattici alla luce del risultato. Sottolineano inoltre la necessità di identificare i soggetti a rischio con alti livelli di distress psicologico già in fase pre-test, con attenzione al funzionamento psicologico e alla presa in carico multidisciplinare. Come già descritto prima, l’oncologo medico, il genetista e lo psico-oncologo si affiancano nelle diverse fasi del counselling oncogenetico, con particolare riferimento alla fase di comunicazione del risultato dei test genetici. Gli interventi psicologici si concentrano sulle strategie di “coping” (adattamento) nella gestione del rischio eredo-familiare, sul supporto emotivo, sull’elaborazione psichica dei vissuti relativi alla condizione di rischio oncologico.

Un modello sperimentale che stiamo adottando e studiando presso l’Istituto Europeo di Oncologia, in collaborazione con il dipartimento di Oncologia ed Ematoncologia (DIPO) dell’Università degli Studi di Milano, prevede la somministrazione al paziente del Decisional Tree (DT) nel processo decisionale relativo alla mastectomia profilattica, in pazienti che stanno effettuando indagini genetiche per la rilevazione della mutazione del gene BRCA1-2. Il DT è uno strumento che permette di raccogliere una rappresentazione grafica delle conoscenze e dei valori del soggetto sui fattori (vantaggi e svantaggi) associati alle opzioni di gestione del rischio genetico disponibili. Più specificamente, il DT identifica tutte le possibili opzioni di scelta e i possibili esiti (medici e psicologici) associati a ciascuna opzione. Lo scopo è quello di aumentare la consapevolezza della paziente circa i fattori principali che motivano la scelta di un’opzione di intervento rispetto ad un’altra (fare o non fare mastectomia profilattica) per gestire il proprio rischio genetico.

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