Tumore delle tube e dell’ovaio: le cure attuali e le nuove prospettive

Una recente rassegna fa il punto sui farmaci più promettenti nel trattamento dei tumori epiteliali ad alto grado dell’ovaio, un ampio gruppo di neoplasie di cui fa parte anche il carcinoma delle tube

Il tumore delle tube di Falloppio come singola entità è una malattia rara, tuttavia esso è considerato alla stregua dei più diffusi tumori ovarici epiteliali sierosi di alto grado (che rappresentano il 90% dei tumori dell’ovaio) e dei carcinomi peritoneali, con cui condivide il comportamento clinico e il trattamento. Rientrando nel più vasto capitolo dei tumori ovarici, il cancro delle tube ha quindi potuto beneficiare di numerosi filoni di studio, come sottolineano alcuni ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, autori di un’interessante rassegna pubblicata sulla rivista Expert Opinion on Investigational Drugs. Ne parliamo con Raffaella Cioffi, ginecologa dell’Unità operativa di ostetricia e ginecologia del San Raffaele nonché prima autrice del lavoro.

Raffaella Cioffi

I tumori epiteliali ad alto grado dell’ovaio

«L’obiettivo della rassegna era quello di riportare quali sono gli approcci terapeutici standard e le nuove prospettive di trattamento per il tumore della tuba – premette Cioffi -. Quando si parla di questa neoplasia non si può prescindere dal non considerare i tumori sierosi dell’ovaio e del peritoneo, che vengono trattati alla stessa maniera. Abbiamo mostrato quali siano le molecole, o meglio le combinazioni di molecole, rivelatesi più promettenti, evidenziando anche le principali difficoltà incontrate dagli scienziati nella ricerca di trattamenti mirati».

Negli anni è stato osservato come circa il 70% dei carcinomi ad alto grado che colpiscono l’ovaio o il peritoneo abbia origine dalle tube e poi si diffonda alle strutture limitrofe, tuttavia non sempre è possibile fare una distinzione della sede primitiva di partenza del tumore, motivo per cui si preferisce trattare tutte queste condizioni considerandole un’unica entità. Ciò ha condotto a un netto miglioramento della pratica terapeutica, con l’avvio di numerosi trial clinici allo scopo di identificare una cura per le pazienti affette da questi tumori.

I farmaci più promettenti

Allo stato attuale la base del trattamento dei tumori epiteliali avanzati di ovaio, tube e peritoneo è di tipo chemioterapico: il platino è il pilastro della terapia standard. Accanto a questo approccio iniziale, negli ultimi anni è stato introdotto il concetto di terapia di mantenimento per prevenire le recidive della malattia prima che si manifestino e prolungare la sopravvivenza. «Alla chemioterapia negli ultimi anni è stato aggiunto il bevacizumab, un farmaco biologico anti-angiogenetico, cioè in grado di bloccare la crescita dei vasi sanguigni intorno al tumore stesso. Questo farmaco viene usato sia insieme alla chemioterapia sia come mantenimento» puntualizza Cioffi.

Ma i farmaci che si stanno rivelando più interessanti per quanto riguarda questi tumori sono i PARP inibitori, farmaci intelligenti che vanno a modificare i meccanismi alterati dal punto di vista genetico, indicati però solo in una sottocategoria di pazienti.

PARP inibitori e difetti della ricombinazione omologa

«L’utilizzo dei PARP inibitori nella prima linea di trattamento ha portato a ulteriori benefici – prosegue Cioffi – in modo particolare nelle pazienti con mutazioni nei geni BRCA, che rappresentano fino a un quinto delle donne con tumore dell’ovaio, e più in generale nelle pazienti che presentano difetti nella ricombinazione omologa (HRD)».

I PARP inibitori interferiscono con la riparazione dei danni del DNA: nelle pazienti con difetti di ricombinazione omologa, come quelle che presentano mutazioni nei geni di suscettibilità BRCA1 e BRCA2, questi medicinali conducono alla morte delle cellule tumorali.

La decisione dell’Agenzia italiana del farmaco che ha portato all’approvazione del PARP inibitore olaparib nelle pazienti con cancro epiteliale dell’ovaio di alto grado, del cancro della tuba di Falloppio o del cancro peritoneale primitivo HRD positivo si basa sui risultati dello studio Paola1 di fase III che ha dimostrato come la terapia di combinazione olaparib e bevacizumab riduca il rischio di progressione della malattia o il rischio di morte del 67%. In particolare l’aggiunta di olaparib ha portato la sopravvivenza libera da progressione a una mediana di oltre 3 anni.

Il ruolo dei test genetici

Per riconoscere le candidate alla terapia con olaparib, occorre eseguire dei test specifici. «Tutte le pazienti a cui viene diagnosticato un tumore dell’ovaio, delle tube o del peritoneo vengono sottoposte al test HRD che permette di identificare tempestivamente chi può beneficiare della terapia con olaparib – spiega Cioffi -. Il test viene eseguito sul tessuto tumorale e nello stesso contesto viene eseguito il test somatico per la ricerca di alterazioni patogenetiche nei geni BRCA. Se il test BRCA è positivo, successivamente eseguiamo un esame genetico anche sul sangue per vedere se si tratta di una mutazione germinale e quindi trasmissibile alla prole. La presenza di alterazioni germinali ha importanti implicazioni per la prevenzione di altre neoplasie associate ai geni BRCA, a partire dal tumore al seno, e gli screening a cascata sui familiari».

Altre opzioni terapeutiche

I tumori ovarici che risultano HRD positivi rappresentano la metà di tutti i tumori ovarici più comuni. Ma che alternative ci sono per le pazienti che non presentano un deficit della ricombinazione omologa (HRD negative)? «Le donne con fattori di rischio particolari, come un tumore in stadio avanzato o non completamente asportabile con la chirurgia, possono beneficiare del ricorso a un altro PARP inibitore. Si tratta di niraparib approvato per l’uso già in prima linea, indipendentemente dall’esito del test HRD. Gli studi che hanno portato alla sua approvazione, a cui abbiamo partecipato anche noi come Ospedale San Raffaele, hanno evidenziato un beneficio in termini di intervallo libero da malattia» segnala Cioffi.

Le prospettive future

Per il tumore delle tube stanno emergendo nuovi e promettenti bersagli molecolari. «Nonostante gli esiti deludenti dell’immunoterapia, se utilizzata da sola, questo approccio terapeutico potrebbe ancora avere un ruolo in combinazione con altri agenti, sfruttando effetti sinergici a livello molecolare. Inoltre la profilazione genomica potrebbe rivelarsi una valida strategia per sviluppare vaccini individualizzati» conclude la ginecologa.

Antonella Sparvoli

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie