Tumore del colon-retto: troppi pazienti non aderiscono allo screening

Sette cittadini su 10 non eseguono il test per la ricerca del sangue occulto, che il sistema sanitario offre gratuitamente ogni due anni a tutti i 50-69enni. Per questo l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) promuove un grande progetto di sensibilizzazione

Nel 2020 l’incidenza del tumore del colon-retto era in calo del 20% rispetto al picco registrato nel 2013, ma ora, complice la pandemia e i ritardi negli screening ad essa associati, si assiste a un incremento importante dei casi: dai 43.700 casi del 2020 agli stimati 48.100 casi del 2022, con un aumento di 4.400 nuove diagnosi. Lo hanno segnalato gli esperti dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) in occasione di un recente convegno, dedicato alle neoplasie gastrointestinali, tenutosi a Padova. L’evento ha rappresentato anche l’occasione per lanciare una campagna di sensibilizzazione per migliorare l’adesione al test di screening (ricerca del sangue occulto nelle feci), con spot, opuscoli, divulgazione sui social e il coinvolgimento attivo delle farmacie.

Screening per il tumore del colon-retto

Il test per la ricerca del sangue occulto nelle feci, usato per lo screening del tumore del colon-retto, è in grado di ridurre la mortalità per questa neoplasia di circa il 30%. Tuttavia in Italia solo tre cittadini su 10 lo eseguono, con un’adesione che varia molto da regione a regione. Nel Nord l‘adesione raggiunge il 45%, al Centro il 31% e al Sud solo il 10% e solamente cinque regioni superano il target del 50% di adesione: il Veneto è la più virtuosa (quasi il 70%), seguono il Trentino, la Valle d’Aosta, l’Emilia-Romagna e il Friuli Venezia Giulia.

«Lo screening colorettale è in grado di individuare, oltre alla presenza della neoplasia ogni 850 persone asintomatiche, anche adenomi, cioè polipi, potenzialmente in grado di trasformarsi in cancro, ogni 150 individui analizzati – segnala Saverio Cineri, presidente nazionale AIOM -. La rimozione dei polipi prima dello sviluppo della neoplasia permette di ridurre i nuovi casi. Stiamo assistendo a un lento riavvio dei programmi di screening, ma non è sufficiente. Servono iniziative concrete per frenare l’incremento delle diagnosi». Proprio per questo motivo l’AIOM ha dato vita al nuovo progetto di sensibilizzazione che mira ad aumentare l’adesione ai programmi di screening e ad allargare la fascia d’età dei cittadini a candidati al test dai 50 ai 74 anni.

Fattori di rischio e campanelli d’allarme

Il test del sangue occulto delle feci permette non solo di rimuovere i polipi prima che diventino neoplastici (con la colonscopia che segue al test positivo), costituendo quindi una vera e propria prevenzione primaria, ma anche di favorire una diagnosi precoce di un eventuale tumore quando le cure possono avere più successo. Accanto allo screening, gioca un ruolo altrettanto importante nella prevenzione del tumore del colon-retto l’intervento sui fattori di rischio modificabili.

«Tra i fattori di rischio rientrano gli stili di vita scorretti, in particolare sedentarietà, fumo di sigaretta, sovrappeso, obesità, consumo eccessivo di farine e zuccheri raffinati, carni rosse, alcolici, insaccati e ridotta assunzione di fibre vegetali – riferisce Sara Lonardi, direttore FF dell’Oncologia 3 all’Istituto Oncologico Veneto IRCCS di Padova -. Gli stili di vita sani devono essere rispettati anche dopo la diagnosi, sia per prevenire l’insorgenza di recidive che per migliorare l’efficacia dei trattamenti. I segni della malattia precoce non sono specifici e includono modifiche delle abitudini intestinali, fastidio addominale, perdita di peso e stanchezza persistente. Quando la patologia è più avanzata si possono manifestare perdite di sangue durante l’evacuazione, dolori addominali, nausea o vomito. Il 20% dei casi, purtroppo, è scoperto tardi, quando sono già sviluppate metastasi, ma la prognosi di questi pazienti è migliorata sensibilmente negli ultimi anni. Questi passi avanti sono legati da una parte alle nuove conoscenze biologiche, dall’altra all’individuazione di particolari bersagli molecolari che costituiscono il target di terapie innovative».

L’importanza delle caratteristiche molecolari

Il tumore del colon-retto è una neoplasia molto eterogenea dal punto di vista genetico-molecolare e individuare tali caratteristiche è molto importante per poter importare una terapia personalizzata, a maggior ragione nella malattia metastatica, come fa notare Filippo Pietrantonio dell’Oncologia Medica Gastroenterologica alla Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori di Milano e membro del direttivo nazionale di AIOM. «Al momento di iniziare il trattamento, deve essere effettuata la valutazione dello stato mutazionale dei geni indicati con l’acronimo RAS (KRAS e NRAS), di BRAF e di quelli coinvolti nelle funzioni di riparazione del DNA mismatch repair ed elevata instabilità dei microsatelliti (tra cui i geni responsabili della sindrome di Lynch, ndr). Questi geni funzionano come ‘interruttori’ che attivano i meccanismi di crescita e replicazione delle cellule tumorali e possono essere nello stato normale o mutato. Lo stato normale di KRAS e NRAS, che rappresenta circa il 40-45% del totale dei casi di carcinoma del colon-retto metastatico, indica che il paziente ha maggiori probabilità di rispondere alla terapia a base di anticorpi monoclonali anti-EGFR. La mutazione di BRAF è individuata in circa il 10% dei casi ed è associata a una prognosi peggiore, perché il tumore è più aggressivo e per una maggiore resistenza alle terapie. La mutazione V600E è la più frequente tra quelle di BRAF e il rischio di mortalità in questi pazienti è più che raddoppiato rispetto a quelli ‘non mutati’. In questi casi, la disponibilità di una terapia mirata permette miglioramenti della sopravvivenza globale, della risposta obiettiva e della sopravvivenza libera da progressione».

Instabilità dei microsatelliti

«Circa il 5% dei pazienti con tumore del colon-retto metastatico mostra elevata instabilità dei microsatelliti, da cui deriva un alto numero di mutazioni – aggiunge Sara Lonardi -. Questa caratteristica sembrava ridurre la probabilità di trarre beneficio dalla chemioterapia tradizionale, ma ora si trasforma in un certo senso in un vantaggio, perché permette di selezionare un sottogruppo di pazienti molto responsivi all’immunoterapia». L’accumulo di mutazioni non riparate a causa di un deficit del mismatch repair rende infatti i tumori colorettali con instabilità dei microsatelliti altamente immunogenici, ovvero capaci di richiamare una forte risposta immunitaria. In virtù di questa caratteristica questi tumori sono risultati particolarmente sensibili all’immunoterapia con inibitori anti-PD-1. Questi farmaci attivano infatti una risposta immunitaria contro le cellule tumorali molto corposa, inducendo una sorta di “rigetto” del tumore.

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