Tumore alla prostata: promettente un derivato della cannabis

Il cannabidiolo, un componente non psicoattivo della cannabis, sembrerebbe in grado di ridurre la crescita tumorale in modelli animali resistenti alla terapia ormonale. Lo segnala uno studio del CNR di Pozzuoli e dell’Università di Brescia

I cannabinoidi di origine vegetale sono stati usati per molti decenni come agenti palliativi per i malati di cancro, ma negli ultimi anni alcuni studi ne hanno suggerito anche una potenziale azione antitumorale. Ora alcuni ricercatori dell’Istituto di chimica biomolecolare del CNR di Pozzuoli e dell’Università di Brescia hanno esplorato ulteriormente l’efficacia di alcuni derivati della cannabis in un modello animale pre-clinico che può imitare più accuratamente la malattia umana. Ebbene gli studiosi hanno visto che il cannabidiolo, un componente non psicoattivo della cannabis, sembrerebbe in grado di sopprimere lo sviluppo del tumore alla prostata resistente alla terapia ormonale nel modello TRansgenic Adenocarcinoma of the Mouse Prostate (TRAMP), riprogrammando la segnalazione metabolica e oncogena. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Pharmacological Research.

Tumore alla prostata refrattario agli ormoni

Gli androgeni svolgono un ruolo essenziale nella crescita del tumore alla prostata che nella maggior parte dei casi, quando diagnosticato precocemente, risulta androgeno-dipendente, tant’è che la prima linea di trattamento prevede l’impiego di farmaci che agiscono diminuendo l’effetto degli androgeni. Nonostante la regressione iniziale, però, con il tempo le cellule tumorali si adattano alla bassa segnalazione androgenica e sviluppano resistenza al trattamento che le porta alla cosiddetta fase di resistenza alla castrazione, caratterizzata dalla riattivazione della segnalazione androgenica. È proprio in questo contesto che si inserisce il possibile ruolo dei derivati della cannabis. Nel nuovo studio, i ricercatori italiani, dopo aver precedentemente dimostrato che i cannabinoidi non psicoattivi inibiscono la crescita del cancro prostatico in vitro e in vivo (nei tumori dello xenotrapianto), hanno approfondito i meccanismi d’azione del cannabidiolo, il più potente tra i cannabinoidi purificati, nella fase iniziale e avanzata del tumore alla prostata e soprattutto in quella resistente alla terapia ormonale.

Meccanismi d’azione del cannabidiolo

Studiando i derivati della cannabis nel modello animale, i ricercatori hanno individuato alcuni processi metabolici su cui poter far leva per contrastare la crescita delle cellule tumorali. Uno dei bersagli individuati è rappresentato dalla proteina VDCA1, implicata sia nel metabolismo cellulare sia nella via di segnalazione della morte/sopravvivenza cellulare. Legandosi a questa proteina, il cannabidiolo determina un’accelerazione del metabolismo della cellula tumorale, innescando meccanismi di compensazione che attivano la morte programmata.

Dallo studio è inoltre emerso che combinando in modo opportuno il cannabidiolo con altri cannabinoidi non psicoattivi, come il cannabigerolo, è possibile ridurre la crescita del tumore prostatico resistente alla terapia ormonale. «Questi risultati dovrebbero favorire studi futuri, compresi studi clinici, sul possibile uso di cannabinoidi botanici non psicotropi come coadiuvanti per il trattamento con carcinoma prostatico» concludono i ricercatori.

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