Test genetici, test genomici, medicina personalizzata: opportunità e limiti da rimuovere

Le recenti scoperte sulle caratteristiche molecolari dei tumori stanno dando un forte impulso alla medicina personalizzata in oncologia. Infatti, analizzando il DNA delle cellule tumorali, oggi è possibile definire approcci terapeutici più mirati, che vanno a colpire direttamente le cellule malate, lasciando intatte quelle sane, con migliori risultati nella cura delle neoplasie e minori effetti collaterali rispetto alla sola chemioterapia.  L’oncologia di precisione è oggi una prospettiva che può dare risposte innovative più efficaci alla maggior parte dei tumori della popolazione generale, cioè quelli sporadici, non correlati alla presenza di specifiche alterazioni genetiche. Nell’ambito dei tumori ereditari – in cui la causa scatenante è la presenza di una alterazione genetica presente nell’intero DNA dell’individuo – tale opportunità si presenta ancora più entusiasmante. Ad es. nel caso dei PARP inibitori si fa leva proprio sul “difetto genetico” – le mutazioni nei geni BRCA e di altri geni del sistema di riparazione – per inibire la proliferazione delle cellule tumorali e di conseguenza arrestare la crescita della malattia. I primi risultati con i PARP inibitori sono stati ottenuti qualche anno fa nella cura del carcinoma ovarico delle donne BRCA mutate ed oggi tali farmaci sono diventati la nuova “terapia ottimale” per tale tipologia di pazienti. Ultimamente il loro ambito applicativo si sta estendendo, per i pazienti con le stesse alterazioni genetiche, al carcinoma della mammella triplo negativo, a quello della prostata e del pancreas.

Oltre che nei PARP inibitori e in altri farmaci a bersaglio molecolare (anticorpi monoclonali e farmaco-combinati), la medicina personalizzata sta facendo enormi progressi anche nell’ambito dell’immunoterapia. In tal caso si tratta di creare a livello cellulare dei meccanismi in grado di inibire il “blocco del sistema immunitario” attivato dal tumore, per mettere in condizione gli anticorpi di riprendere a svolgere il proprio lavoro e di aggredire le cellule maligne, fino a distruggerle definitivamente. Dopo le sperimentazioni iniziali sul melanoma, l’immunoterapia si sta applicando ad altri tumori, come quelli del colon-retto, dell’endometrio, della stessa mammella (carcinoma metastatico triplo negativo con minori opzioni terapeutiche disponibili). E diversi studi clinici su vari tipi di tumore stanno sperimentando la combinazione tra PARP inibitori e altri farmaci a bersaglio molecolare con l’immunoterapia, valorizzando i benefici combinati dei due approcci terapeutici.

Una scoperta interessante, che amplifica la popolazione target dei PARP inibitori e di altri farmaci a bersaglio molecolare, è che anche i soggetti in cui siano presenti mutazioni esclusivamente somatiche, cioè nelle cellule tumorali, possono beneficiare di tali terapie, in modo non molto dissimile dai soggetti portatori di alterazioni genetiche ereditarie. Ciò sta rendendo necessario utilizzare nella pratica clinica anche i test genomici, cioè le analisi molecolari sul tessuto tumorale, per identificare possibili bersagli terapeutici anche in soggetti con tumori di tipo sporadico. A tal scopo si stanno costituendo i Molecular Tumor Board (MTB), con lo scopo di valutare nell’ambito di team multidisciplinari di specialisti quali possano essere le migliori terapie da adottare in presenza di profili molecolari specifici dei tumori dei pazienti. Oggi alcuni clinici sostengono che sia preferibile ricercare in prima battuta le mutazioni somatiche nel tumore per identificare in prima istanza dei possibili bersagli terapeutici e, in alcuni casi – in presenza di storia familiare suggestiva e/o di particolari profili istologici – verificare se le stesse alterazioni possano essere di natura costituzionale. Si stanno creando quindi i presupposti per una maggiore integrazione tra test genomici e test genetici, che in passato sono stati gestiti per finalità diverse (di terapia o di prevenzione) da specialisti diversi (oncologi, patologi, genetisti). In tale caso, oltre a curare meglio il paziente per la malattia in atto, si potranno attivare percorsi di prevenzione primaria e secondaria anche per gli altri organi a rischio – in genere le sindromi ereditarie sono multi-organo, cioè coinvolgono diverse sedi in cui si può manifestare la malattia nel corso della vita – e soprattutto si potrà verificare la presenza della stessa alterazione genetica nei familiari sani, sottoponendo essi stessi ai percorsi di prevenzione primaria e secondaria.

La possibilità concreta della estensione diffusa in ambito clinico delle opportunità della oncologia di precisione è condizionata dalla diffusione dei test genetici – sul sangue periferico, in presenza di una sospetta sindrome ereditaria – e dei test genomici – sul tessuto tumorale, finalizzati alla identificazione delle migliori terapie disponibili. Si stanno finalmente creando le condizioni per una maggiore integrazione dei test genomici e genetici, a tutto vantaggio della diagnosi, della cura e della prevenzione dei tumori. Purtroppo, in Italia i percorsi di approvazione dei farmaci di precisione e quelli di approvazione dei test genetici e genomici non sono ancora collegati. Con esiti paradossali: capita talvolta che i farmaci siano approvati e rimborsati, a livello nazionale (l’AIFA è l’ente responsabile di tali decisioni), ma che non siano accessibili ai pazienti perché il relativo test per la prescrizione non è disponibile o rimborsabile, al punto che a volte si chiede al paziente di darsi carico personalmente del costo del test. Gli stessi test genetici – che riguardano la ampia popolazione (500.000-600.000 persone) con sospetta presenza di sindromi ereditarie – al momento sono soggetti ad una normativa esclusivamente regionale, per cui solo in poche regioni sono del tutto rimborsabili e accessibili, con evidenti disparità di trattamento in cittadini che risiedono in diverse parti del paese. Gli stessi criteri di accesso ai test genetici, la offerta ai familiari sani dei pazienti (screening a cascata), gli importi di rimborsabilità alle strutture ospedaliere pubbliche e private cambiano da regione a regione.

Ultimamente sono stati fatti alcuni passi, sia a livello europeo sia a livello nazionale per facilitare una evoluzione che sia coerente con gli sviluppi scientifici e clinici della oncologia di precisione, ma il quadro normativo e la rimborsabilità dei test genetici e genomici è ancora altamente deficitario. E’ abbastanza frustante, anche per una organizzazione di pazienti come la Fondazione Mutagens, assistere a congressi internazionali e nazionali in cui si presentano gli entusiasmanti risultati delle sperimentazioni cliniche in atto nella medicina di precisione e nell’immunoterapia, per poi scoprire che tali opportunità di cura – spesso salvavita per molte persone – sono riservate ancora a pochissimi soggetti e che nella pratica clinica ordinaria ci sono ancora troppi ostacoli per il loro utilizzo diffuso. Finora le organizzazioni pazienti sono state escluse dalla governance degli studi clinici, anche quando questi riguardino la sperimentazione di nuovi farmaci e prevedano il coinvolgimento diretto dei pazienti. Riteniamo che sia arrivato il momento di garantire una rappresentanza anche in questo ambito a chi tutela gli interessi dei pazienti, sia per una maggiore estensione degli studi clinici alla popolazione malata, sia per fare in modo che si riducano al massimo i tempi tra la sperimentazione e la pratica clinica, ovviamente di fronte a evidenze scientifiche che supportino l’opportunità di utilizzare farmaci innovativi. Basti citare l’esempio dei vaccini anti-covid, dove in meno di un anno si è passati dal sequenziamento del virus al vaccino per la popolazione generale: senza tale tempistica strettissima – grazie alle enormi risorse stanziate ma anche alla riduzione dei tempi di tutte le problematiche burocratiche e amministrative – non si sarebbe potuta mettere in sicurezza buona parte della popolazione mondiale. Oltre che per i farmaci innovativi, lo stesso discorso dovrebbe valere per i test genetici e genomici che spesso ne costituiscono un complemento. Anche in tal caso non è possibile avere una governance della normativa solo regionale, che rischia di mantenere delle differenze tra cittadini e ritardare l’adozione ai pazienti delle opportunità terapeutiche più efficaci. La Fondazione Mutagens si sta impegnando, con i diversi attori dell’Ecosistema Salute e sui vari tavoli in cui è presente, perché anche i test genetici e genomici entrino al più presto nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), in modo che la loro adozione nelle strutture pubbliche e private in convenzione sia svincolata dalle politiche sanitarie e dai vincoli di risorse delle singole regioni. 

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