Sindrome di Lynch: aspirina per la prevenzione del tumore del colon

Aspirina per prevenzione tumore colon

Per ridurre il rischio di cancro dell’intestino nei soggetti ad alto rischio servono approcci integrati. Il ruolo della farmaco-prevenzione

Diversi studi hanno evidenziato che una terapia regolare con aspirina può contribuire a ridurre il rischio di sviluppare tumori del tratto gastrointestinale. Questo effetto protettivo è stato dimostrato nella popolazione generale, ma ci sono evidenze chiare anche nelle persone ad alto rischio di ammalarsi, come i portatori di mutazioni genetiche germinali (cioè costituzionali) responsabili della sindrome di Lynch. Una rassegna scientifica, pubblicata di recente sulla rivista Genes, opera di diversi ricercatori italiani e a cui ha contribuito anche la Fondazione Mutagens col suo presidente Salvo Testa, fa il punto su quanto sappiamo oggi sull’impiego dell’aspirina nella farmacoprevenzione dei tumori del colon negli individui con la sindrome di Lynch. Allo stesso tempo gli studiosi, sulla base di dati farmacologici e clinici, propongono nuove raccomandazioni. Approfondiamo l’argomento con alcuni degli autori della rassegna.

«L’ipotesi che l’aspirina potesse avere anche un effetto di prevenzione tumorale risale alla fine del secolo scorso – premette Davide Serrano della Divisione di prevenzione e genetica oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e primo autore della rassegna -. Negli anni novanta sono stati pubblicati i primi lavori, principalmente epidemiologici, dove si osservava una possibile relazione tra uso di aspirina e riduzione di incidenza e mortalità di alcuni tipi di tumori e in particolar modo del colon-retto».

Davide Serrano

Sindrome di Lynch e farmacoprevenzione

La scoperta di soggetti ad alto rischio di cancro è avvenuta negli ultimi 15-20 anni, con la rivoluzione della genetica oncologica. In particolare, per quanto riguarda la sindrome di Lynch, si è scoperto che questa condizione ereditaria è associata soprattutto ad un alto rischio di cancro del colon-retto e dell’endometrio nelle donne. Queste conoscenze hanno aperto la strada a percorsi per individuare i portatori delle mutazioni genetiche responsabili e a strategie di diagnosi precoce e di prevenzione attiva.

Bernardo Bonanni

Valutazione del rischio

«Oggi, grazie a metodiche di analisi molto semplici, è possibile scoprire chi è a rischio di tumore – premette Bernardo Bonanni, direttore della Divisione di prevenzione e genetica oncologica dell’IEO di Milano, nonché uno dei due coordinatori dello studio -. In particolare il “test universale”, un esame che deve essere fatto su ogni singolo caso di tumore del colon-retto e dell’endometrio, permette di evidenziare se c’è un’alterazione delle cellule del tumore asportato.  Quando questo esame è positivo, allora si indirizza il paziente all’esecuzione del test genetico mirato per verificare la presenza di una mutazione germinale in uno dei geni associati alla sindrome di Lynch. Negli ultimi anni abbiamo dunque affinato moltissimo le possibilità di capire chi è ad alto o altissimo rischio multiorgano, perché le sindromi possono interessare più organi, sia nel paziente che nei suoi familiari mutati».

Prevenzione mirata

L’identificazione di soggetti ad alto rischio ha ricadute importanti sugli approcci di prevenzione,  e quella farmacologica nei decenni si è sviluppata moltissimo, come ricorda Bonanni. «La prima grande esperienza nell’ambito della farmacoprevenzione è quella che riguarda il tumore della mammella, con un farmaco – il tamoxifene – che ha aperto questa grandissima pagina ed è ormai utilizzabile a basse dosi in prevenzione. Per quanto riguarda i tumori dello spettro della sindrome di Lynch, in particolare il colon-retto, oggi abbiamo la possibilità concreta della farmacoprevenzione con aspirina. Questo farmaco è usato da milioni di persone per la prevenzione cardiovascolare, ma si è dimostrato in grado di ridurre il rischio di tumore del colon non solo nella popolazione generale ma anche in soggetti ad alto rischio, portatori della sindrome di Lynch».

Lucio Bertario

Gli studi sull’aspirina nella sindrome di Lynch

Nel 1999 è stato avviato lo studio CAPP2, nel quale sono stati coinvolti più di 800 pazienti, seguiti per un minimo di 10 anni e molti fino a oltre vent’anni. Metà sono stati trattati con 600 mg di aspirina al giorno (300 mg due volte al giorno) per due anni, l’altra metà ha invece assunto un placebo (una sostanza priva di effetti farmacologici).

Dai dati raccolti subito dopo la fine del trattamento non è emersa una differenza nell’incidenza dei tumori intestinali tra i due gruppi, ma le valutazioni fatte, prima dopo cinque anni e poi dopo dieci, hanno evidenziato che nel lungo termine l’aspirina può ridurre notevolmente il rischio di tumore del colon-retto nei pazienti con la sindrome di Lynch.

«L’aspirina ha prodotto straordinari risultati – conferma Lucio Bertario, co-coordinatore della rassegna, consulente presso lo IEO, già responsabile dell’Unità tumori ereditari colorettali dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, nonché pioniere della ricerca in questo ambito -. Lo studio CAPP2 ha dimostrato che l’aspirina è in grado di ridurre del 30% il rischio del cancro del colon in individui che nel corso della loro vita, avendo una mutazione specifica, hanno un rischio di almeno il 50% di svilupparlo». Il fatto che il farmaco causi effetti protettivi a lungo termine suggerisce che l’aspirina possa interferire con gli eventi iniziali coinvolti nello sviluppo di questi tumori.

Il problema del dosaggio

«Nello studio CAPP2 l’aspirina è stata utilizzata a un dosaggio di 600 mg al giorno. Sebbene non siano emersi effetti collaterali nei pazienti che l’hanno assunta, per altro tutti abbastanza giovani tra i 45-50 anni, di fatto oggi il ricorso a questo farmaco, a tale dosaggio, viene preso in scarsa considerazione nella pratica clinica» puntualizza Bertario.

«Lo studio CAPP2 ci ha fatto capire che l’aspirina alla dose standard di 600 mg è in grado di ridurre il rischio di cancro del colon, ma funziona nel tempo, non nei primissimi anni. Ciò significa che deve essere assunta per diversi anni per dare un vantaggio che risulti importante – fa notare Bonanni – e questo ci impone un’attenta valutazione del rapporto rischi/benefici prima di proporne l’impiego. È qui che è partito l’ultimo filone di ricerca, che ci vede tra i protagonisti, ovvero cercare di arrivare a dimostrare qual è la minima dose attiva di aspirina, verosimilmente di 100 mg. Ci sono già delle linee guida internazionali che raccomandano fortemente di orientarsi verso questo dosaggio nei soggetti ad alto rischio».

Lo studio CAPP3

Lo studio CAPP3, che è il proseguimento del CAPP2 ed è in corso, sta cercando di dimostrare, sempre in soggetti con la sindrome di Lynch, se 600 mg (300 mg due volte al giorno) verso 300 mg o 100  mg al giorno di aspirina siano equivalenti. Questo studio clinico impiegherà degli anni per dare dei risultati definitivi, perché, come già accennato, l’effetto dell’aspirina si vede nel lungo termine.

«Noi ci siamo inseriti in questo contesto, prima che si abbiano i risultati del grande studio randomizzato CAPP3, con uno studio più piccolo ma molto mirato, di tipo più farmacologico, per comprendere meglio i meccanismi d’azione della aspirina e ottenere conferma della nostra ipotesi che il dosaggio dei 100 mg al giorno sia adeguato – spiegano Bonanni e Bertario -. In base ai dati clinici e farmacologici intendiamo successivamente promuovere in modo sistematico questo intervento in tutti i portatori della sindrome di Lynch».

Paola Patrignani

L’aspirina a basse dosi e la mortalità per cancro

In questi anni numerose evidenze sia sperimentali che cliniche hanno mostrato come l’uso di aspirina a basse dosi (100 mg al giorno) nella prevenzione delle malattie cardiovascolari (come per esempio l’infarto del miocardio) si associ alla riduzione del rischio di cancro colorettale (ma anche di atri tipi di cancro). «Le evidenze di farmacologia clinica hanno mostrato che il principale meccanismo del farmaco a questo dosaggio sia relativo all’inibizione della funzione delle piastrine. Sono queste delle piccole cellule circolanti prive di nucleo coinvolte nella formazione dei trombi – spiega Paola Patrignani, professoressa di farmacologia preso il Dipartimento di neuroscienze, imaging e scienze cliniche dell’Università G. D’Annunzio di Chieti, e coautrice dello studio – Nuove conoscenze hanno mostrato che queste cellule partecipano anche allo sviluppo dei tumori e delle metastasi. Un fenomeno questo con cui le cellule tumorali si staccano da un tumore primario, viaggiano nel sangue o nei vasi linfatici e formano un nuovo tumore secondario in altri organi o tessuti.

Le raccomandazioni

«La nostra intenzione è quella di discutere le informazioni sulla capacità dell’aspirina come medicina preventiva, in una prima fase con tutti i portatori di sindrome di Lynch seguiti da tutti i membri dell’AIFET (Associazione Italiana Familiarità Ereditarietà Tumori). In linea con le principali linee guida internazionali, la dose proposta sarebbe di 100 mg al giorno – riferiscono Bonanni e Bertario -. L’intervento dovrebbe durare almeno due anni. Fermo restando che la decisione di iniziare il trattamento con aspirina dovrà essere presa dopo un’adeguata discussione e valutazione rischi/benefici per identificare gli individui che possano trarne maggiori benefici e che abbiano meno probabilità di sperimentare eventi avversi dovuti all’assunzione del farmaco».

Il programma

Si tratta dunque di proporre in particolare ai gastroenterologi, per ora nell’ambito della rete AIFET, di selezionare i loro casi e contribuire ad una proposta realistica, con uno studio molto semplificato di medicina concreta, che permetta di valutare innanzitutto l’accettabilità da parte di questa popolazione, la compliance e gli eventuali effetti collaterali, che verranno monitorati. Dati che verranno in futuro integrati e confrontati con i risultati dello studio CAPP3 per i quali occorrono ancora anni.

Approccio combinato

«Oggi nei soggetti con sindrome di Lynch si raccomanda una sorveglianza endoscopica intensiva, il che significa fare almeno una colonscopia di controllo ogni paio d’anni. Se un individuo portatore della sindrome inizia a fare tali controlli a 25 anni, arrivato a 45 anni avrà fatto almeno 10 colonscopie, con un carico notevole in termini di qualità di vita, senza contare che l’aderenza a questo tipo di protocollo non è elevatissima – osserva Bertario -. Non solo, i risultati di studi europei ci dicono che la sorveglianza non riduce l’incidenza del tumore, piuttosto ha un effetto importante sulla sopravvivenza. La colonscopia non ha quindi un’efficacia propriamente preventiva. Questo ci ha indotto a pensare a un approccio combinato: abbiamo pensato che la sorveglianza endoscopica abbinata all’assunzione dell’aspirina possa offrire un vantaggio maggiore».

Colonscopia e aspirina

I portatori della sindrome di Lynch sono una popolazione ad altissimo rischio, appropriata per studi di prevenzione del cancro in cui l’aspirina può fungere da “terapia adiuvante” per migliorare i risultati della sorveglianza (ma non per interrompere la colonscopia).

«Esiste anche la possibilità di avere un effetto multi-target. Sappiamo infatti che l’aspirina, prima ancora di avere un effetto sulla prevenzione dei tumori del colon, ha un ruolo di rilievo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari – spiega Bonanni -. In un’ottica di prevenzione multipla, farmaci con effetto multi-target come l’aspirina sono più proponibili, sia dal punto di vista di campagne più ampie di prevenzione sia sul fronte economico e di sanità pubblica».

Biomarcatori per il futuro

Nel tentativo di personalizzare ancora di più i soggetti a cui proporre la farmacoprevenzione con aspirina, non solo in termini di dosi, è in programma un nuovo progetto. «Sulla base di studi farmacologici e di prelievi della mucosa sana del colon, di esami del sangue e delle urine, vorremmo cercare di capire se specifici biomarcatori sono modulati in maniera differente a seconda dell’individuo considerato e della dose di aspirina somministrata. L’obiettivo finale è d’identificare una serie di biomarcatori che descrivano il fenotipo dei soggetti a maggior rischio di cancro e che possano predirre quale siano i soggetti che avranno maggior vantaggio dal trattamento preventivo con aspirina ed anche quelli da escludere al trattamento perché non ne avrebbero benefici – conclude Bonanni.

Salvo Testa

Il punto di vista dei pazienti

Secondo un piccolo sondaggio effettuato su una cinquantina di individui con sindrome di Lynch nell’ambito del Gruppo privato Mutagens, è emerso come almeno 6 pazienti su 10 siano venuti a conoscenza da varie fonti (non direttamente dai medici) della possibilità di utilizzare l’aspirina nella prevenzione del tumore del colon. Il 15% ha avuto modo di parlarne con i propri medici, di medicina generale e specialisti, ma di fatto solo il 3% di essi ha esplicitamente raccomandato di seguire questo “protocollo” di prevenzione farmacologica. «Questi dati confermano quanto emerso dalla rassegna pubblicata, ovvero che esiste un divario tra la pratica clinica in Italia e le raccomandazioni degli studi e delle linee guida internazionali su questo tema – osserva Salvo Testa. Pensiamo che, almeno in parte, questa lacuna sia legata anche a una mancanza di conoscenza dei medici (sia specialisti sia di medicina generale) su tale opportunità terapeutica preventiva».

Antonella Sparvoli

Sindrome di Lynch: aspirina per la prevenzione del tumore del colon

Sindrome di Lynch: aspirina per la prevenzione del tumore del colon. Per ridurre il rischio di cancro dell’intestino nei soggetti ad alto rischio servono approcci integrati. Il ruolo della farmaco-prevenzione

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