Rischio personalizzato per i tumori

Mappa genoma umano

Metodi di previsione genomica, come il punteggio di rischio poligenico, possono aiutare a stratificare le possibilità di sviluppare una neoplasia sia nella popolazione generale sia nelle persone con mutazioni germinali che predispongono al cancro. Importanti le possibili ricadute sulla sorveglianza, ma non solo. Il caso del cancro mammario

Sempre più studi evidenziano le potenzialità di metodi di previsione genomica, in particolare del cosiddetto punteggio di rischio poligenico (PRS da polygenic risck score), per una valutazione del rischio di tumore più accurato. Particolarmente interessanti sono i dati raccolti finora in relazione al tumore al seno, dove la stratificazione del rischio sulla base dei PRS potrebbe avere importanti ricadute, migliorando le strategie di screening e prevenzione nella popolazione generale, ma anche nei soggetti ad alto rischio. Definire un rischio personalizzato anche nell’ambito delle sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori potrebbe infatti essere utile sia per valutazioni di presa in carico clinica di pazienti già malate o sane a rischio, da parte delle strutture ospedaliere, sia per programmare nuovi approcci di screening su soggetti asintomatici che tengano conto di livelli più personalizzati di rischio e di conseguenza di metodiche e tempistiche di sorveglianza differenziate. Nel parliamo con Marco Pierotti, direttore scientifico di Cogentech, Società Benefit afferente ad IFOM ETS, l’Istituto dell’AIRC di Oncologia molecolare di Milano.

Marco Pierotti

Punteggio di rischio poligenico e tumore al seno

Il PRS è espressione della probabilità di una persona di avere o sviluppare una particolare condizione medica legata alla sua costituzione genetica. In genere viene calcolato valutando le informazioni su più marcatori genetici e varianti (in particolare analizzando più polimorfismi a singolo nucleotide o SNP). «Nel caso del tumore al seno, un ampio studio pubblicato nel 2019 sullAmerican Journal of Human Genetics, condotto su 95 mila donne con cancro al seno e 75 mila donne sane di controllo, ha portato all’identificazione di ben 313 polimorfismi significativamente più presenti nelle donne che hanno sviluppato il cancro mammario – premette Pierotti -. Questi polimorfismi rappresentano una sorta di firma molecolare che permette di dare un punteggio basato sul rischio genetico: si tratta di un coefficiente, definito “Zeta score”, calcolato con un algoritmo, che va da +2 (massimo rischio di tumore al seno) a -2 (minimo rischio di tumore al seno)». Quindi in base al coefficiente Zeta score derivato dal PRS sembrerebbe possibile personalizzare il rischio di tumore al seno nella popolazione generale. Studi successivi hanno poi evidenziato che lo Zeta score ha un ruolo importante anche nell’ambito dei tumori al seno eredo-familiari, associati nello specifico alla presenza di mutazioni germinali nei maggiori geni di suscettibilità (come BRCA1 e BRCA2, PALB2, CHECK2 e ATM).

Rischio poligenico in presenza di mutazioni BRCA

Una donna con alterazioni germinali patogenetiche nei geni BRCA1 o 2 ha un rischio di sviluppare un tumore al seno entro i 70 anni che va dal 40 al 70%. Questa variabilità è legata al fatto che le mutazioni sono diverse. Non solo, si è anche scoperto che la stessa mutazione, in soggetti appartenenti a famiglie diverse, può dare un’espressione della malattia differente in termini di gravità. Ciò implica il coinvolgimento di altri fattori: dallo stile di vita fino ai polimorfismi genetici, come spiega Pierotti. «In effetti, come già osservato nella popolazione generale, si è visto che l’impiego del coefficiente Zeta score è in grado di modulare meglio il rischio di malattia anche nei soggetti mutati. Per esempio una donna con un’alterazione patogenetica di BRCA e uno Zeta score di +2 ha un rischio più elevato nel range che la letteratura scientifica definisce per quella mutazione».

Screening personalizzato per il seno

Lo Zeta score nasce per calcolare meglio il rischio di tumore al seno della popolazione generale con l’ambizione di sostituire i criteri standard per lo screening mammografico, basati essenzialmente sull’età.

«Quello dell’età a cui iniziare e poi terminare lo screening mammografico è un dibattito aperto. L’idea attuale è quella di sostituire il concetto di età con il concetto di rischio e definire anche l’intervallo tra un esame e l’altro, a seconda del rischio personalizzato. Ciò è quello che sta cercando di fare un consorzio europeo con il progetto MyPeBS. Noi invece stiamo lavorando a livello locale, con un focus sui tumori eredo-familiari con una nuova versione del pannello multigene OncoPan, che comprende tutti i geni che predispongono al cancro (non solo mammella e ovaio, ma anche colon-retto, endometrio, stomaco, ecc.), a cui abbiamo aggiunto l’analisi dei 313 polimorfismi selezionati nello studio del 2019, pubblicato sull’Amercan Journal of Human Genetics» segnala Pierotti.

Il progetto europeo MyPeBS

MyPeBS (My Personal Breast Screening) è uno studio clinico internazionale che si propone di mettere a confronto una strategia di screening personalizzato sulla base del rischio individuale con il normale screening, su 85.000 donne tra i 40 e i 70 anni in 6 Paesi europei quali Belgio, Francia, Israele, Italia, Regno Unito e Spagna.

«L’obiettivo dello screening mammografico è quello di individuare il cancro al seno il prima possibile, quando è ancora in stadio iniziale e più facilmente curabile nonché di ridurre il numero di decessi per la malattia – fa notare Pierotti -. I programmi standard prevedono l’esecuzione della mammografia ogni due anni, a partire in genere dai 50 anni. L’approccio, che tiene in considerazione il PRS, mira ad offrire uno screening mirato in relazione al rischio, per esempio mammografia annuale per le donne con un rischio elevato e mammografia dopo 4 anni per quelle con rischio basso».

Lo studio cercherà anche di verificare se l’approccio personalizzato sia uguale o più accettabile di quello standard, prestando particolare attenzione alle eventuali ulteriori preoccupazioni per le partecipanti derivanti dalla conoscenza del proprio rischio individuale di tumore al seno.

L’iniziativa italiana: test genetico e PRS insieme

«Attualmente stiamo proponendo alle strutture sanitare con cui siamo convenzionati, che ci inviano i campioni del sangue delle pazienti con tumore al seno per l’analisi genetica (per esempio per verificare la presenza di alterazioni germinali nei geni BRCA) di fornire loro, ovviamente gratuitamente, anche il valore numerico dello Zeta score, previo assenso a Cogentech delle pazienti interessate – segnala Pierotti -. Quindi con un’unica analisi molecolare (utilizzando OncoPan, il pannello genico sviluppato in Cogentech, a cui sono stati aggiunti i 313 polimorfismi) possiamo offrire più informazioni: il dato che conferma o meno la presenza di una mutazione germinale in uno dei geni di suscettibilità nonché il dato derivante dal PRS, del quale il senologo può tenere conto per personalizzare lo screening mammografico in quella specifica paziente».

Il dato sul rischio personalizzato non sarà inserito sul referto, ma nella mail che contiene la tabella di riepilogo dei risultati disponili, accanto al risultato del test, per i casi mutati e non.

«L’informazione del PRS, a quel punto, potrà essere utilizzata, insieme ad altri principali fattori di rischio (densità mammaria, età, familiarità, età del menarca, numero di figli, ecc.), nel calcolo sviluppato dallo strumento online denominato CanRisk, utilizzabile gratuitamente direttamente dai medici genetisti» conclude Pierotti.

Antonella Sparvoli

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