Patient engagement: sfide ed opportunità

Il ruolo della formazione per promuovere il coinvolgimento dei pazienti in ambito oncologico

Quello del Patient Engagement è uno dei cavalli di battaglia di Mutagens. Sin dalla sua nascita, l’Associazione, oggi Fondazione, ha infatti dato grande attenzione a questo tipo di approccio che si fonda sul coinvolgimento attivo del paziente in tutto ciò che riguarda il suo percorso di cura e si contrappone all’accettazione passiva delle indicazioni del medico da parte del paziente. Il tema è stato al centro del recente evento “Il ruolo della formazione nel promuovere il Patient Engagement”, tenutosi presso la Facoltà di psicologia dell’Università San Raffaele di Milano. All’incontro, indirizzato agli studenti del Corso di psicologia della salute per volere della professoressa Valentina Di Mattei – componente del Team Psiconcologia di Mutagens – hanno partecipato numerosi relatori in rappresentanza di diverse associazioni, tra cui la stessa Mutagens.

«Abbiamo deciso di aprire una finestra su questo tema per illustrare ai nostri studenti nuovi scenari di intervento che si stanno delineando – premette Valentina Di Mattei, professore associato presso l’Università Vita Salute San Raffaele e Coordinatore del Servizio di psicologia clinica della salute, oltre che responsabile del Programma Salute allo Specchio dell’Ospedale San Raffaele -. Quello del Patient engagement è un tema relativamente nuovo, sebbene affondi le sue radici nel lontano passato. C’è ancora poca letteratura scientifica, ma momenti di incontro e dialogo come quello odierno, possono offrire spunti di riflessione e far emergere nuovi interessanti contenuti».

Patient engagement e medicina di precisione

«Lo sviluppo del coinvolgimento del paziente è avvenuto per vie diverse ma soprattutto tramite la ricerca – osserva Alessandra Husher, coordinatore della Breast unit Poliambulanza Brescia e presidente del Comitato Lombardia Susan Komen -. Siamo riusciti a passare dalla terapia standard a quella che chiamiamo medicina di precisione attraverso un processo che ha previsto il coinvolgimento dei pazienti. Non più un paziente al centro, accerchiato, ma un paziente che condivide, che è coinvolto ed è in grado di gestire in maniera molto simmetrica l’alleanza terapeutica con il medico. Pian piano siamo passati dalla malattia, al paziente, alla persona, con il suo mondo e le sue istanze che devono essere gestite all’interno del processo terapeutico».

Il Patient engagement dal punto di vista di Mutagens

«Mutagens si occupa di sindromi ereditarie, la più famosa è quella associata alle mutazioni BRCA, la più diffusa è la sindrome di Lynch. Poi esistono almeno altre cinquanta sindromi più rare, ma che meritano altrettanta attenzione. Si tratta in tutti casi di condizioni con cui convivono molte persone, gran delle quali sono anche sane, sebbene a rischio di tumori» premette Salvo Testa, presidente di Mutagens nel suo intervento all’evento milanese. «La nostra Associazione, oggi divenuta Fondazione, è gestita da soggetti che sono portatori di queste sindromi. Stiamo parlando di 500mila persone, 50mila famiglie in Italia. Sindromi che si trasferiscono in modo ineluttabile dai genitori ai figli con il 50% di probabilità: una cascata generazionale che comunque va avanti e che coinvolge numerose famiglie».

«I soggetti con sindromi ereditarie sono individui che hanno una forte consapevolezza delle loro condizione, sono persone preparate in materia, anche perché hanno avuto esperienze in famiglia, hanno avuto delle malattie, hanno avuto dei lutti. Sanno che cosa vuol dire essere un soggetto a rischio di malattia e conoscono anche le implicazioni che questo comporta» puntualizza Salvo Testa.

Le battaglie dei pazienti con sindromi ereditarie

«L’idea e la visione, e questo è già un engagement, che ci ha portato a fondare Mutagens è quella di mettere il nostro patrimonio genetico, i nostri organi, i nostri dati, a disposizione della ricerca scientifica e del miglioramento della presa in carico clinica. Perché non si può fare medicina di precisione, e quindi ricerca personalizzata, senza i pazienti. Noi siamo delle “cavie” necessarie per far avanzare la ricerca e il progresso clinico. Accanto a questa visione abbiamo declinato una serie di attività che stiamo portando avanti a vari livelli».

Le attività di Mutagens

L’informazione e la divulgazione sono il punto di partenza perché, come spiega il presidente di Mutagens, per creare consapevolezza le persone devono essere informate, preparate.

Allo stesso modo Mutagens punta alla ricerca, soprattutto a quella clinica per contribuire allo sviluppo di nuovi farmaci e di nuove metodiche diagnostiche. Non a caso la medicina di precisione è legata a farmaci a bersaglio molecolare che agiscono in relazioni alle mutazioni sia sul tumore sia sulla linea germinale.

Infine c’è l’attività di advocacy per offrire visibilità alla condizione e alle istanze delle persone portatrici di sindromi eredo-familiari e incoraggiare iniziative per sostenere l’iter attuativo di leggi, norme, percorsi utili al progresso delle cure e delle sperimentazioni cliniche.

«Abbiamo avuto la fortuna di trovare sin dall’inizio un partner importante, quale Alleanza Contro il Cancro (ACC), con cui abbiamo condiviso i nostri obiettivi e la necessità di andare avanti con questa collaborazione dalla parte scientifica, di ricerca e di quella dei pazienti. In meno di due anni abbiamo creato un prezioso ecosistema: stiamo tenendo rapporti e stiamo facendo progetti con diversi tipi di istituzioni, con le associazioni pazienti sia nazionali sia internazionali, dialoghiamo con le strutture ospedaliere, abbiamo creato dei Team con i vari specialisti, preso contatti con aziende farmaceutiche e avviato sinergie con le società scientifiche che hanno un ruolo molto importante nell’identificazione delle linee guida e dei percorsi clinici di presa in carico».

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