Oncologia di precisione: il ruolo dell’anatomopatologo e la diagnostica molecolare

L’avvento della medicina personalizzata ha reso ancora più cruciale il ruolo degli anatomopatologi in tutte le fasi del percorso diagnostico e terapeutico

L’anatomopatologo è uno specialista di anatomia patologica. Questa branca della medicina definisce la natura di una lesione patologica attraverso le alterazioni macroscopiche e microscopiche presenti su cellule (diagnosi citologica) e sui tessuti umani (diagnosi istologica) e fornisce una interpretazione delle stesse, indispensabile per un’adeguata e specifica terapia. In ambito oncologico il ruolo dell’anatomopatologo è stato molto enfatizzato nel tempo, complice l’avvento della medicina personalizzata e dei test molecolari. Facciamo il punto con Fiamma Buttitta, professore ordinario di anatomia patologica all’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e coordinatrice del Gruppo sui tumori eredo-familiari della Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia (SIAPEC). Insieme a lei commentiamo anche i risultati di uno studio recente, esemplificativo della rivoluzione in corso. La ricerca, pubblicata su JAMA Oncology, riguarda le varianti patogenetiche presenti in nove geni di predisposizione al cancro della mammella e la loro correlazione con i diversi sottotipi istologici di tumore al seno.

Come è progredita la figura dell’anatomopatologo in ambito oncologico?

Le classificazioni istopatologiche dei numerosi tumori che possono colpire i diversi organi sono frutto di anni di studio e lavoro degli anatomopatologi. I tumori sono differenti sotto vari aspetti e inizialmente l’anatomopatologo li ha distinti sul piano morfologico, cioè per come si presentavano. Poi, grazie a particolari “spie istologiche”, li ha differenziati in base al loro comportamento biologico in tumori ad alto o basso grado. Se il tumore è ad alto grado significa che è “cattivo”, cresce velocemente, metastatizza con rapidità. Se, invece, il tumore è a basso grado vuol dire che il comportamento biologico è diverso e più blando. Nell’ambito del medesimo tipo istologico possono esserci alcune caratteristiche che possono consentire di vedere se il tumore è di alto o basso grado e quindi fornire preziose informazioni sul fronte della prognosi e condizionare indirettamente la terapia.

L’insieme di queste informazioni morfologiche è riunita sotto un’unica dizione, quella di caratteristiche fenotipiche, ovvero come appare quel tumore. Dall’altro lato però ci sono caratteristiche che non si vedono e prendono il nome di caratteristiche genotipiche, che si riferiscono all’aspetto genetico del DNA. Quest’ultimo per diverse ragioni, per esempio a causa di cancerogeni ambientali (come le radiazioni ultraviolette), può subire delle alterazioni nella sua sequenza che noi chiamiamo comunemente mutazioni. Le mutazioni possono essere di diverso tipo (delezioni, sostituzioni, duplicazioni, ecc.) e si distinguono in somatiche, quando interessano cellule presenti nei tessuti di vari organi, e germinali, quando riguardano le cellule germinali. Solo quest’ultime possono essere trasmesse per via ereditaria. Visto che i vari tipi istologici (fenotipo) possono rappresentare un elemento predittivo nei confronti del genotipo, è fondamentale che l’anatomopatologo colga questi segnali, anche perché il numero di farmaci atti a bloccare le cellule con queste alterazioni sta crescendo enormemente. Di fatto il ruolo degli anatomopatologi è diventato così cruciale in tutte le fasi del percorso diagnostico e terapeutico dei tumori.

Quali sono gli obiettivi dell’anatomia patologica nell’era dell’oncologia di precisione?

Da sempre il primo obiettivo dell’anatomia patologica è stato quello di trasferire all’oncologo e al chirurgo informazioni riguardo la tipologia del tumore, soprattutto in funzione del trattamento migliore.

Oggi nell’era della medicina di precisione, l’anatomia patologica interviene anche nella diagnosi molecolare per individuare quali siano i bersagli molecolari che possono essere utilizzati dall’oncologo per la terapia personalizzata.

Analizzando il tessuto tumorale l’anatomopatologo ha il compito non solo di caratterizzarlo e classificarlo, ma anche di indirizzare verso il test molecolare idoneo se intravede che dietro a quel fenotipo ci potrebbe essere un determinato genotipo. Quindi è l’anatomopatologo che, insieme all’oncologo, definisce quali sono i test genetici che possono essere utili per la migliore scelta terapeutica. Questo secondo obiettivo dell’anatomia patologica non è altro che l’estensione dell’obiettivo primario ed è stato reso possibile dall’evoluzione tecnologica e dalla disponibilità di farmaci mirati.

Quali possibilità sta offrendo la diagnostica molecolare nell’ambito delle sindromi eredo-familiari?

Utilizzando analisi molecolari condotte con strumenti di NGS (Next Generation Sequencing), oggi è possibile sequenziare in poco tempo decine, centinaia di geni, anche di più pazienti contemporaneamente (pannelli multigenici).

Circa il 10% dei tumori è di natura eredo-familiare. Si parla di ereditarietà quando il tumore si sviluppa in pazienti che hanno mutazioni germinali note, trasmesse per via ereditaria, mentre si parla di familiarità quando non si conosce la mutazione e il gene di predisposizione al cancro, ma è evidente un’impronta familiare nello sviluppo di neoplasie.

Negli ultimi anni l’aver potuto contare su una metodica di diagnostica molecolare così processiva come l’analisi NGS ha ampliato molto il panorama oncologico. Se prima si pensava che i distretti fossero separati, ovvero che la mammella avesse i suoi geni predisponenti, il colon i suoi e via dicendo, nel tempo abbiamo capito che non è così. Grazie all’analisi NGS è emerso che molte patologie neoplastiche trasmesse ereditariamente condividono gli stessi geni ed è per questo che ci sono le impronte familiari. Ci sono famiglie in cui ricorrono diversi tumori che riguardano organi diversi. Nel setting oncologico delle patologie eredo-familiari è possibile testare una serie di geni: tante patologie rare che condividono la stessa location, cioè il punto in cui si sviluppano.

L’analisi NGS fatta in anatomia patologica può dunque fornire migliaia di dati che devono essere interpretati e dai quali deve essere estrapolato quello che può essere utile per la cura del tumore.

Veniamo ora allo studio pubblicato su JAMA Oncology, quali sono i messaggi importanti emersi da questa analisi?

Gli autori sottolineano che oltre ai geni BRCA1 e BRCA2, ce ne sono almeno altri sette (ATM, BARD1, CHEK2, PALB2, RAD51C, RAD51D e TP53) che, se mutati, aumentano le possibilità di sviluppare il tumore della mammella. Il nuovo studio, condotto su più di 42mila pazienti e altrettante partecipanti come gruppo di controllo, ha evidenziato come le caratteristiche istologiche dei diversi sottotipi di tumore della mammella differiscano in relazione al gene preso in esame.

Il primo messaggio forte che emerge da questo studio è che quando si ha a che fare con patologie rare come i tumori ereditari, occorre esaminare un grande numero di pazienti per ottenere dati che altrimenti potrebbero non emergere.

Grazie all’enorme mole di dati raccolti, i ricercatori hanno fatto un’altra scoperta importante, ovvero che alcune alterazioni in specifici geni incidono soprattutto in alcuni istotipi. Il triplo negativo, uno dei tumori della mammella più aggressivi, è risultato associato soprattutto a mutazioni nei geni RAD51C, RAD51D, BARD1, BRCA2 e PALB2, mentre mutazioni nel gene CHEK2 possono interessare tutti gli istotipi di tumore della mammella, tranne il triplo negativo. Ancora mutazioni di ATM sono più frequenti nei tumori ad alto grado che esprimono i recettori ormonali (HR+), ma non HER2, mentre le mutazioni di TP53 sono tipiche di tumori HER2 positivi, a prescindere che i recettori ormonali (HR) sia espressi o meno.

Lo studio ha evidenziato anche che i tumori che insorgono in donne portatrici di varianti patogenetiche sono di alto grado e che nel loro insieme i nove geni analizzati sono associati a quasi il 30% di tutti i tumori triplo negativi nelle donne con età inferiore o uguale a 40 anni.

Nel loro insieme questi dati possono aiutare a definire linee guida per indirizzare i pazienti verso l’analisi di specifici geni tramite pannelli multigenici dedicati allo scopo (piuttosto che altri pannelli ampi ma non mirati) e quindi guidare strategie di screening e sorveglianza.

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