Mutazioni BRCA e risposta all’immunoterapia

Uno studio recente pubblicato su JAMA Network Open suggerisce che la presenza di mutazioni nel gene BRCA2, in combinazione con un elevato carico mutazionale, possa rappresentare un potenziale marcatore associato a una risposta positiva all’immunoterapia con inibitori del checkpoint immunitario

I tumori che presentano un elevato carico mutazionale (Tumor mutation burden o TMB, parametro che misura il carico di mutazione del tumore) tendono a rispondere meglio all’immunoterapia con inibitori del checkpoint immunitario. Ora, uno studio pubblicato di recente sul JAMA Network Open, suggerisce che i pazienti con una mutazione nel gene BRCA2 e, allo stesso tempo, un alto TMB, rispondano meglio all’immunoterapia con questi farmaci. I nuovi dati potrebbero quindi avere importanti ricadute nell’ottica di un’oncologia sempre più di precisione, mirata a proporre i farmaci con maggiore possibilità di successo solo ai pazienti che potrebbero trarne beneficio.

Mutazioni BRCA e immunoterapia

Attualmente il TMB, l’espressione di PD-L1 (ligando di morte cellulare programmata-1) e la presenza di deficit nel sistema che corregge gli errori del DNA (mismatch repair) sono i pochi marcatori biologici noti per essere associati alla risposta agli inibitori del checkpoint immunitario. Considerato che anche i geni BRCA1 e BRCA2 giocano un ruolo importante nella riparazione del DNA, gli autori del nuovo studio hanno voluto verificare se anche mutazioni in tali geni potessero influenzare la risposta al trattamento con questi farmaci immunoterapici. I dati disponibili finora sono controversi, anche se sono in corso più studi, per esempio per esaminare la combinazione immunoterapia e Parp inibitori nei diversi tumori (seno, ovaio, prostata, pancreas) associati alle mutazioni BRCA.

Nel nuovo studio sono stati considerati quasi 40mila campioni di tumori provenienti da 37259 pazienti, di cui quasi 2000 pazienti con mutazioni nei geni BRCA1 e/o BRCA2. Gli autori avevano ipotizzato che i pazienti BRCA mutati potessero rispondere meglio all’immunoterapia in quanto la presenza di tali mutazione sembrerebbe associata a un maggiore carico mutazionale, come è in effetti emerso dall’analisi dei campioni.

Il ruolo di BRCA2

Nello studio sono stati analizzati anche i dati relativi a una coorte di 1661 pazienti del Memorial Sloan Kattering Cancer Center, trattati con inibitori del chechpoint immunitario e sottoposti al sequenziamento del genoma, arruolati per l’analisi di sopravvivenza. Ebbene questi dati hanno evidenziato una migliore risposta all’immunoterapia solo nei pazienti con mutazioni nel gene BRCA2, risposta paragonabile a quella osservata in soggetti con tumori con un elevato carico mutazione.

I nuovi dati aggiungono un piccolo tassello che si va a sommare alle attuali conoscenze utili per riuscire a identificare i pazienti che più possono beneficiare dell’immunoterapia.

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