L’ipotesi di estendere il test BRCA a tutte le donne sane in età a rischio

L’estensione dell’esame genetico favorirebbe una diminuzione dei casi di cancro al seno e alle ovaie, nonché una riduzione dei costi per i sistemi sanitari. Lo segnala una rassegna pubblicata sulla rivista The Breast. Facciamo il punto con Marco Pierotti, coordinatore dello studio e vicedirettore scientifico di Cogentech, Società Benefit afferente all’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano

Da quando nel 1992 è stato identificato il primo gene associato a tumori ereditari del colon (APC) e nel 1994 i geni BRCA1 e BRCA2 implicati nella sindrome dei tumori ereditari di mammella e ovaio (HBOC), di strada ne è stata fatta, ma i progressi non si arrestano e gli scenari si ampliano. Oggi gli screening genetici, nonostante lo scetticismo iniziale, sono diventati una pratica comune e vengono proposti in determinate circostanze, ma forse in maniera un po’ troppo restrittiva come suggerisce una recente rassegna della letteratura, pubblicata sulla rivista The Breast. L’analisi ha preso in considerazione il test BRCA e, dopo un’attenta valutazione del rapporto costo-efficacia senza perdere di vista aspetti etici e sociali, ne suggerisce l’esecuzione su più ampia scala e non solo nei casi selezionati indicati dalle attuali linee guida internazionali. Ne parliamo con Marco Pierotti, coordinatore dello studio e vicedirettore scientifico di Cogentech, Società Benefit afferente all’Istituto FIRC di Oncologia Molecolare di Milano.

A chi viene proposto oggi il test BRCA?

La somministrazione dei test genetici per il cancro ereditario della mammella e dell’ovaio a seguito di consulenza genetica si basa su linee guida, come quelle dell’American Cancer Society, che tengono conto di particolari caratteristiche della storia personale e familiare e criteri clinici che conferiscono una probabilità di avere una variante genetica BRCA superiore al 10% come soglia per l’accesso al test. Di norma si inizia individuando la presenza di varianti patogenetiche nella persona con il tumore, dopo aver appunto analizzato la storia familiare e le caratteristiche del cancro, e poi a cascata si effettua lo screening sui familiari sani. Si è però visto che con questo tipo di approccio si rischia di perdere fino al 50% dei soggetti che in realtà presentano varianti in questi geni. Da qui l’idea di provare a estendere la somministrazione dell’esame genetico. Senza contare che diagnosticare la presenza di una variante patogenetica nei geni BRCA solo dopo che si è palesata con il tumore, rappresenta una sconfitta della medicina preventiva moderna. Se dobbiamo aspettare che in quella famiglia si debba ammalare qualcuno per identificare la mutazione, è chiaro che non abbiamo centrato l’obiettivo.

Quali potrebbero essere i vantaggi derivanti dall’estensione del test BRCA?

La risposta che emerge dalla nostra analisi è che i vantaggi potrebbero essere molteplici. Uno screening di popolazione consentirebbe infatti l’identificazione di un numero più alto di soggetti con varianti BRCA, la loro introduzione in percorsi assistenziali mirati, il risparmio di indagini diagnostiche costose quando successive a una mancata individuazione tempestiva della malattia e un abbassamento dei costi dei test genetici, che si riassumono in un enorme vantaggio per i sistemi sanitari. Tanto per fare qualche esempio pratico, il primo studio fatto per valutare l’estensione del test BRCA è una ricerca condotta nel Regno Unito sugli ebrei Ashkenaziti, nei quali alcune varianti dei geni BRCA1 e 2 sono molto diffuse (circa 1% della popolazione). Ebbene i dati raccolti in soggetti dai 30 anni in su hanno evidenziato che lo screening su larga scala, oltre a ridurre di circa 280 unità i casi di carcinoma ovarico e di oltre 500 unità quelli mammari, consente anche un risparmio alla sanità pubblica, quantificato in circa 3,7 milioni di sterline. Un altro studio della Scuola di economia dell’Università Cattolica dal canto suo ha dimostrato che l’ampliamento della platea a cui somministrare il test può portare a risparmi notevoli per il sistema sanitario: ogni caso di tumore prevenuto dal test genetico è associato a un risparmio di circa 30 mila euro.

A chi andrebbe proposto il test BRCA alla luce di quanto emerso dalla letteratura scientifica?

Diversi studi dimostrano che uno screening di popolazione potrebbe funzionare. Esso potrebbe rappresentare un intervento preventivo più accurato rispetto all’attuale approccio basato su linee guida al fine di ridurre il rischio di tumore alla mammella e all’ovaio e, per i sistemi sanitari, un modello vantaggioso in termini di riduzione dei costi. A questo proposito c’è un esempio interessante offerto dallo Screen Project, un progetto di screening della popolazione attualmente in corso in Canada, che mira ad analizzare l’intera popolazione canadese di età pari o superiore a 18 anni al fine di identificare il maggior numero possibile di portatori di mutazioni e ridurre la morbilità e la mortalità del cancro al seno, alle ovaie, alla prostata e altri tipi di tumori. I dati preliminari mostrano che tra le prime 150 persone testate, sono stati individuati almeno cinque casi con mutazione BRCA (1 su 50), dei quali solo due soddisfacevano i criteri di selezione delle linee guida per l’accesso al test finanziato con fondi pubblici. Questo modello di screening ha il pregio di consentire l’identificazione di più portatori di mutazioni nella popolazione prima che venga loro diagnosticato un cancro. Pertanto, questi dati supportano fortemente il beneficio di uno screening di popolazione che, in termini di prevenzione e trattamento, ridurrebbe sia l’incidenza del cancro che la mortalità. Non solo, lo studio dimostra anche la possibilità di abbattere i costi per l’esame genetico, portandoli a circa 165 dollari americani. Quando è stato introdotto il test in Italia, il costo era di circa 3000 euro, oggi la regione Lombardia, per esempio, riconosce circa 1300 euro, ma se venisse offerto a più persone i costi potrebbero scendere ulteriormente come dimostra lo studio canadese.

Un buon passaggio intermedio, prima di arrivare a proporre lo screening a tutte le donne sane in età a rischio, potrebbe essere quello di analizzare tutte le donne che sviluppano un tumore della mammella o dell’ovaio, a prescindere dai criteri di eleggibilità dettati dalle linee guida. A suggerirlo è uno studio norvegese nel quale 1370donne con tumore al seno sono state testate e il risultato è che poco più 6% aveva una storia familiare, rivelando che se fossero state seguite le linee guida non sarebbero stati diagnosticati sei tumori su 10.

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