15 Novembre 2022La cultura e la consapevolezza sono fondamentali per la nostra saluteL'Editoriale Parlando di malattie, le “colpe” degli antenati possono ricadere anche sui discendenti? Forse sarebbe più appropriato parlare non tanto di “colpe” ma di “condizioni” e in tal caso la risposta è “sì”. Limitandoci ai tumori, soffermiamoci in primo luogo sulla popolazione normale, cioè su quella che non è portatrice di alterazioni genetiche costituzionali, cioè nel proprio DNA, ereditate dai propri antenati e trasmissibili ai propri discendenti (tipica dei portatori di sindromi ereditarie, di cui parleremo successivamente). E’ dimostrato che anche i tumori, come altre malattie, risentono fortemente delle condizioni ambientali. Queste ultime – ad esempio ciò che mangiamo e beviamo, l’aria che respiriamo, il contesto sociale e culturale in cui viviamo – non vanno a modificare il DNA di tutte le nostre cellule ma potrebbero indurre alcuni geni specifici (gli esseri umani ne hanno circa 20.000-25.000) a fare male il loro lavoro, spingendoli a produrre delle proteine “errate” e quindi a riprodurre delle “cellule anomale”, con conseguenze severe come l’innesco di una neoplasia.Le mutazioni genetiche alla base di un tumore in tal caso vengono definite di tipo “epigenetico”, nel senso che possono modificare non tanto i geni in sé ma la loro espressione, cioè quanto essi sono “accesi o spenti”. Ma in tal caso, se non è il patrimonio genetico ad essere alterato, cosa dovrebbero c’entrare figli, nipoti e discendenti? E’ dimostrato che, nel caso dei tumori sporadici o casuali – quelli che riguardano l’85-90% della popolazione – le mutazioni epigenetiche intercorse nella vita delle persone vengono “resettate” al momento della fecondazione e quindi non vengono trasmesse dai genitori alla prole. Però studi più recenti – per ora fatti solo su piccoli animali – azzardano che in alcuni casi le conseguenze di tali mutazioni di origine ambientale potrebbero “transitare” anche alla generazione successiva.Ecco che in tal modo verremmo tutti chiamati in causa – sia la popolazione normale sia quella con alterazioni genetiche costituzionali – perché il nostro comportamento potrebbe ripercuotersi non solo sulla nostra salute personale ma anche su quella dei nostri figli e nipoti. Ciò significa che una alimentazione non propriamente sana, una limitata attività fisica, un abuso di alcool, fumo e droghe, un costante squilibrio psichico e affettivo, potrebbero avere conseguenze gravi e durature all’interno della nostra famiglia. Peraltro, vanificando tutti gli sforzi del sistema sanitario volto soprattutto alla prevenzione delle malattie: screening oncologici, controlli periodici degli organi a maggiore rischio, prescrizioni per l’alimentazione, l’attività fisica, l’equilibrio psichico e affettivo. E qui interviene anche il fattore culturale. Molti studi dimostrano che esiste una correlazione tra il livello culturale e il livello scolastico nei confronti dell’insorgere e della prognosi delle malattie, compresi i tumori. Infatti, un cittadino informato e consapevole è certamente un soggetto più attivo nel mantenimento del proprio stato di salute, grazie al rispetto dei protocolli clinici più idonei al proprio status (genere, età, parametri biologici, familiarità, ecc.) e alla maggiore attenzione al proprio stile di vita. La consapevolezza dipende dalla qualità e completezza delle informazioni e delle conoscenze di ogni individuo, che inevitabilmente viene in parte trasferita per osmosi ai proprio familiari e ai propri figli e nipoti. Ecco perché il fattore decisivo per la nostra salute personale e per quella collettiva di un Paese è la “cultura” ed ecco perché nell’ambito della salute è necessario o quantomeno opportuno dotarsi di un solido “bagaglio culturale”, almeno limitatamente alle problematiche e alle patologie maggiormente presenti all’interno della propria famiglia.In tale contesto le persone portatrici di sindromi ereditari – meno dell’1% della popolazione normale ma che incide per oltre il 10-15% sul totale dei nuovi tumori annui – rappresenta un caso molto specifico. Queste persone, per vissuto familiare (diversi casi di malattie e lutti in generazioni diverse) ed esperienze personali (l’avere cioè contratto direttamente la malattia, correlata ad una specifica variante patogenetica ereditata) hanno una grande consapevolezza della propria condizione di soggetti ad elevato rischio. Generalmente queste persone, pur non essendo “medici”, sono molto preparate sulla propria sindrome, ne conoscono la natura genetica, le implicazioni, ma anche le opportunità, oggi sempre maggiori grazie ai continui progressi nella diagnostica e nelle terapie, specie nei farmaci personalizzati per i portatori di specifiche alterazioni del DNA (Parp inibitori, anticorpi monoclonali e combinati, immunoterapici). Tale consapevolezza, per sé e per i propri figli – specie nelle donne la preoccupazione maggiore è per i figli più che per sé stesse – rappresenta un fattore determinante per fronteggiare questa condizione. Sapere di essere “soggetti ad alto rischio” provoca inevitabilmente un certo livello di ansia e talvolta di depressione, ma crea anche i presupposti per una reazione forte, per prendere decisamente in mano la propria salute e la propria qualità di vita, in modo da imparare a convivere con tale stato clinico e psicologico. Essere portatori di una sindrome ereditaria non significa dover inevitabilmente contrarre la malattia, ma l’alto rischio impone di fare tutto il possibile per prevenirla – anche con il ricorso ad interventi drastici come la chirurgia profilattica – o per anticiparla, diagnosticandola in tempo per poterla curare al meglio.La Fondazione Mutagens, fin dai suoi esordi, ha potuto beneficiare, tra i propri soci fondatori e partecipanti e tra la sua crescente comunità di individui – oltre 500 portatori di sindromi ereditarie – di tale consapevolezza e di tale patrimonio esclusivo di conoscenze. La presenza di un Gruppo Privato Facebook (cui si può accedere solo se si è portatori) e di diverse Chat dedicate (BRCA, LYNCH, RARE) facilitano il confronto di informazioni e di esperienze tra persone con le stesse condizioni genetiche, accrescendo nel tempo una consapevolezza già alta in partenza. Certamente tale “fattore culturale” non risiede solo nei pazienti ma è alimentato e rafforzato continuamente dai vari attori dell’Ecosistema Mutagens: le istituzioni sanitarie, le società scientifiche, gli specialisti ospedalieri, i medici di medicina generale, i ricercatori, le aziende farmaceutiche e delle scienze della vita, i media generalisti e del settore salute. È proprio grazie al dialogo e al rapporto tra tutte queste componenti che ci sforziamo quotidianamente di contribuire a migliorare la presa in carico dei soggetti ad alto rischio e a rafforzare la ricerca a vantaggio di tale popolazione. Per questo crediamo fortemente nel nostro motto: “Forti da soli. Più forti insieme”.Condividi sui socialFacebookLinkedInTwitter
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