Le biobanche e le banche dati genetiche

Un tempo erano solo “depositi” di campioni biologici e di altre informazioni relativi a persone che altro non erano se non “donatori”. Oggi le biobanche sono molto più di questo e si inseriscono in continua evoluzione sia dal punto di vista numerico (il numero delle biobanche è in continua crescita nel mondo) che da quello della regolamentazione1. Da semplici “raccolte di campioni e tessuti e dei dati ad essi associati” le biobanche si sono dunque trasformate vere e proprie infrastrutture che operano a diversi livelli, da locale a mondiale. Senza dubbio lo sviluppo delle tecniche e delle conoscenze nella medicina molecolare e nella genomica hanno contribuito allo sviluppo di queste strutture, che ha portato con sé anche una serie di nuove domande e sfide di tipo scientifico, etico e legale che non possono essere ignorate.

Tesori preziosi in banche speciali

“Una biobanca è un luogo dove vengono conservati tutti I tipi di campioni biologici umani, come sangue, tessuti, cellule e DNA. Nelle biobanche sono raccolti anche I dati relative ai campioni e altre risorse biomolecolari che possono essere utilizzate nella ricercar sanitaria”. È questa la definizione di biobanca riportata sul sito dell’Infrastruttura di Ricerca Europea delle Biobanche e delle Risorse BioMolecolari (BBMRI-ERIC), che ha anche un nodo nazionale italiano (BMRI.it) nato dall’impegno del Ministero dell’Università e della Ricerca e del Ministero della Salute.

Il fine ultimo delle biobanche è quello di dare un contributo alla ricerca scientifica per migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di diverse patologie e per riuscire a identificare nuove terapie efficaci. Uno strumento senza pari per arrivare alla medicina di precisione e personalizzata1,2.

Banche aperte, ma non troppo

La raccolta e l’analisi di campioni biologici ai fini di ricerca non è certo una novità legata alla nascita delle biobanche, ma è anzi una pratica piuttosto comune negli studi clinici. Alcune differenze saltano immediatamente agli occhi quando si confrontano le raccolte di campioni per singoli studi e le biobanche: per esempio le biobanche sono in genere raccolte molto più ampie2. Ma la caratteristica che più di tutte distingue questi due tipi di “archivi” è il fatto che mentre i campioni utilizzati per un singolo studio clinico restano spesso confinati al gruppo di ricerca e allo studio per i quali sono stati inizialmente raccolti, le biobanche sono state pensate sin dalla loro origine per fornire materiale a tutti coloro che ne fanno richiesta, anche se nel rispetto di una serie di ferree regole di gestione2.

Non tutte le banche sono uguali

Si possono però identificare differenze piuttosto importanti tra le singole biobanche, a partire dal tipo di campioni e di dati raccolti e che ne determinano anche l’uso finale. Vi sono le biobanche di popolazione, che contengono campioni prelevati da soggetti sani di una determinata aera geografica o etnia, che possono essere utilizzate per studi di epidemiologia molecolare2. Sono incluse in questo gruppo le raccolte di DNA germinale a partire da sangue venoso.

Il Public Population Project in Genomics (P3G) è il consorzio internazionale nato nel 2004 per promuovere la collaborazione in questo settore della genomica di popolazione. Dal 2019 opera all’interno del Centre of Genomics and Policy (CGP) della McGill University e ha preso il nome di P3G2.

E poi ci sono le biobanche per specifiche malattie, quelle che raccolgono tessuti prelevati in genere in corso di biopsie o interventi chirurgici, i campioni di sangue prelevati nel corso degli screening neonatali, il sangue dei cordoni ombelicali e tante altre ancora2.

Questioni ancora aperte

Un primo grande problema che ci si trova ad affrontare quando si decide di utilizzare i dati delle biobanche è senza dubbio l’eterogeneità dei campioni e dei dati contenuti in ciascuna di esse. Si osservano infatti differenze notevoli nel modo in cui i campioni biologici sono raccolti e conservati e nel tipo di informazioni raccolte2. Si sta cercando quindi armonizzare le procedure, in modo da rendere i dati comparabili e ampliare la possibilità di collaborazione e interazione tra le diverse biobanche2,3. Non mancano inoltre problemi di tipo tecnico e informatico legati all’analisi e alla gestione di enormi quantità di dati e altri di tipo economico-finanziario, dal momento che l’istituzione e il mantenimento di una biobanca prevede un impegno economico ampio e a lungo termine2.

Non si possono dimenticare neppure le questioni di tipo etico e legale che si associano all’utilizzo di dati sensibili e che hanno subito ulteriori modifiche con la recente introduzione del Regolamento Europeo sulla protezione dei dati (GDPR 2016/679) e le sue richieste in termini di trasparenza e informazione1,2.

Cittadini e dati

Ultime, ma non certo meno importanti, le persone che forniscono campioni e dati da conservare nelle biobanche. Il sondaggio Eurobarometro su “Life Sciences and Biotechnology” ha messo in luce una mancanza generalizzata di consapevolezza e conoscenza delle biobanche da parte dei

cittadini europei, seppur con differenze nei vari Paesi: maggiore la fiducia in queste strutture e disponibilità a collaborare nei paesi del Nord rispetto a quelli dell’Europa Centrale e Meridionale2.

Resta il fatto che anche la collaborazione dei cittadini e la creazione di biobanche da sole non bastano. È fondamentale saper leggere in modo corretto i dati disponibili per poter far fruttare il grande patrimonio di informazioni celate nei campioni biologici. Si parla di “big data”, un’espressione che in medicina si riferisce proprio ad ampie collezioni di dati difficili da gestire con gli strumenti informatici tradizionali e la cui analisi richiede competenze specifiche e molto avanzate4. Le aspettative legate all’uso dei big data in medicina sono enormi, come ricordato in un Focus sul tema pubblicato a inizio 2020 su Nature Medicine, ma restano ancora alcuni nodi sa sciogliere prima di poter assistere a questa prossima “rivoluzione” legata ai dati che potrà accelerare anche la ricerca sulle malattie rare5.

Le caratteristiche di una biobanca

La Comunità europea ha stabilito quali devono essere le caratteristiche di una biobanca con lo sviluppo recente della norma UNI ISO 20387:2019 che, insieme alle norme contenute nelle leggi sulla privacy, determina le “regole di comportamento” di una biobanca efficiente e corretta.

Vediamo quali sono.

Imparzialità: la biobanca deve essere immune da qualsiasi pressione ed essere dedicata al bene comune.

Riservatezza: vi è l’obbligo di tutelare i dati sensibili associati ai materiali conservati (informazioni genetiche, diagnosi eccetera).

Privacy: ogni biobanca deve avere un organismo dedicato alla sorveglianza del rispetto delle normative sulla privacy.

Competenze: chi opera in una biobanca deve avere le competenze necessarie ed essere regolarmente formato e aggiornato.

Tecnologie: possono aprire biobanche solo le strutture dotate delle tecnologie necessarie e in grado di garantire la conservazione accurata dei campioni.

Processi: tutte le fasi di attività della biobanca devono seguire un processo specifico (dalla raccolta del campione alla sua conservazione, fino all’eventuale smaltimento).

Trasparenza: chiunque accetti di lasciare i propri campioni biologici a una biobanca deve firmare un apposito consenso informato e ha diritto di ritirare, in qualsiasi momento, il suo consenso.

Riferimenti

1. Goisauf M, et al. PLoS ONE 2019; 14(9): e022149

2. European Commission – Biobanks for Europe. A challenge for governance. 2012.

3. JRC Scientific and Technical Reports. Biobanks in Europe: Prospects for Harmonisation and Networking. 2010.

4. Ristevski B, Chen M. Journal of Integrative Bioinformatics. 2018;15(3):20170030.

5. Focus (and Editorial). Big Data in Health. Nature Medicine 2020. https://www.nature.com/collections/hiefjijeie

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